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Domani la sentenza per l’aggressione alla giornalista Mazzola

Domani 15 aprile alle ore 11, presso il Tribunale di Bari, davanti al GUP Giovanni Anglana, è attesa la sentenza nel processo con rito abbreviato per l’aggressione mafiosa che la giornalista Rai Maria Grazia Mazzola subì il 9 febbraio 2018 dalla boss mafiosa del clan Strisciuglio, Monica Laera (condannata definitiva per 416bis).

Nell’udienza del 18 febbraio scorso, la PM della DDA di Bari Lidia Giorgio, durante la requisitoria, ha chiesto tre anni di carcere per la Laera – per aggressione con aggravante mafiosa nell’esercizio del controllo del territorio, lesioni e minacce di morte nei riguardi della inviata speciale Rai – e un anno e quattro mesi per oltraggio a pubblico ufficiale, per la consuocera Angela Ladisa – moglie del boss Pino Mercante.

«Dopo l’aggressione, mentre piangevo piena di dolore, – ricorda oggi Mazzola in un lungo post sul suo profilo Facebook – Ladisa mi inseguì, mi disse di stare zitta davanti alla polizia chiamata da me e ci insultò. Io mi chiusi in auto e andai con la troupe tv al pronto soccorso di Bari. Denunciai in questura e indicai le foto di chi mi aggredì. Non è facile cari cittadini. Mi è stata sottratta salute, la mia tranquillità, il mio tempo».

«Era il 9 febbraio 2918 – ricostruisce la vicenda la giornalista Rai –. Un pomeriggio come tanti durante una trasferta da inviata speciale del TG1, a Bari, un’inchiesta di mafia per l’approfondimento che punta sui giovanissimi e i clan. Le tappe: Reggio Calabria, Napoli, Milano. Ultima tappa, Bari appunto. Entro nel territorio considerato la base del clan Strisciuglio nel quartiere Libertà, che però è soprattutto terra della Costituzione italiana, dove vivono tanti cittadini onesti condizionati dalla violenza mafiosa e dove operano e lavorano per la legalità i Salesiani con don Francesco Preite, intervistato da me. Salesiani valorosi che disperatamente lottano ogni giorno per sostenere minori e giovanissimi in gravi difficoltà, per tentare l’alternativa onesta allo spaccio e alle estorsioni. La parrocchia, la scuola o i clan. I clan sono su strada visibili e pronti a remunerare in cambio di reati. E lo Stato dov’è? I Salesiani – spesso inascoltati nelle loro proposte – e i cittadini onesti del quartiere Libertà, sono lo Stato. In un quartiere dove aggressioni e omicidi sono la regola, le pattuglie delle forze dell’ordine dovrebbero rimanere lì giorno e notte. Una guerra: la scuola pubblica e quella professionale, o il clan e i soldi facili. Ecco perché ponevo domande per strada e indagavo, in via Petrelli dove i giornalisti non entrano. Eppure, non è una strada privata, è pubblica. Le mie domande sul giovanissimo Ivan Caldarola, figlio di due boss: Lorenzo Caldarola in carcere pluricondannato, e la madre Monica Laera, sentenza definitiva per 416bis. Con garbo ponevo domande, anche su quel processo dove Ivan Caldarola è coinvolto per stupro di una bambina di 12 anni. Ho esercitato il mio dovere di cronista. Lei la boss Laera, indemoniata esce di casa e mi sferra un cazzotto. La mia mandibola sinistra è frantumata. Riporto lesioni. E un trauma cervicale. E altro. Il Ministero dell’Interno mi ha assegnato una forma di tutela».

L’avvocata della Mazzola e della Rai, Caterina Malavenda, nella memoria depositata, scrive che si trattò di un’aggressione dimostrativa nell’esercizio del controllo mafioso del territorio, per colpire una giornalista “ed educarne cento”».

Nella memoria dell’avvocata Malavenda per conto Rai e della Mazzola, l’aggressione mafiosa è paragonata a quella subita nel 2017 dal giornalista Daniele Piervincenzi per mano di Roberto Spada, fratello del boss, mentre svolgeva un’intervista ad Ostia (Roma). Nella relazione medico legale depositata in Tribunale, la dott.ssa Lea Cinzia Caprioli scrive che Mazzola ha riportato «microfratture trabecolari ed edema della spongiosa a carico del margine esterno del condilo mandibolare sinistro con ispessimento dei tessuti molli periarticolari, un quadro di lesioni permanenti per il gancio da pugile sferrato da Laera». La dott.ssa Caprioli, ricostruendo la dinamica, afferma che dai video «appare evidente che l’arto superiore destro della Laera compie un ampio movimento molto simile a quello con cui nel pugilato si carica il braccio quando si tira un “gancio», la mano si chiude a cucchiaio, quindi colpisce violentemente il lato sinistro del capo della dott.ssa Mazzola». 

Per l’aggressione, l’equipe medico legale dell’Inpgi ha riconosciuto alla giornalista Mazzola “lesioni permanenti”.

Dal 2019 i Prefetto di Roma ha assegnato alla Mazzola una forma di tutela per la sua sicurezza.

«È fondamentale ribadire che i giornalisti nell’esercizio di un ruolo costituzionalmente riconosciuto, non si toccano: l’intimidazione, le minacce e le aggressioni fisiche a chi si espone per motivi di interesse pubblico, riguardano tutti perché condizionano la democrazia. Io mi sono costituita parte civile e con me: la Rai e l’Ordine Nazionale dei giornalisti con l’avvocata Caterina Malavenda, l’Associazione Stampa Romana con l’avvocato Antonio Feroleto, l’associazione Libera contro le mafie con l’avvocata Enza Rando, la città di Bari, e altri», ha dichiarato ancora Maria Grazia Mazzola. 

Dopo la sentenza è prevista con l’Associazione Stampa Romana una conferenza stampa nazionale online.