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I muri del silenzio

I muri si erigono anche con i silenzi, facendo sparire i migranti dalle cronache. E ciò che accade per colpa della pandemia, delle campagne discriminatorie rivolte nei confronti delle Organizzazioni non governative e a causa delle intercettazioni avvenute nei confronti di giornalisti che si occupano di rifugiati e di richiedenti asilo.

La notizia è emersa nei giorni scorsi. Alcuni giornalisti italiani sono stati intercettati e per lungo tempo. Un fatto sconcertante che si unisce a un altro fatto grave: l’informazione generalista con le sue televisioni nazionali si sta lentamente «dimenticando» dei migranti, di coloro che sono obbligati a intraprendere i pericolosi viaggi della speranza e su precarie imbarcazioni «buttate» tra le onde nel mar Mediterraneo.

La grande informazione ultimamente ha raccontato l’altra rotta, quella balcanica, dei sentieri di montagna e delle temperature glaciali; una rotta intrapresa da persone spaesate con abiti inadeguati e inseguite come fossero delle prede.

Le norme sanitarie per prevenire il Covid-19 hanno limitato anche l’invio di giornalisti, ovunque, soprattutto nel mar Mediterraneo. E le voci dei migranti, lentamente, si diradano, scompaiono dall’informazione.

Di loro, il nulla. Non sappiamo più chi sono, non vediamo più i loro volti, non sentiamo più le loro voci, e tantomeno possiamo raccogliere e raccontare le loro storie.

Il giornalismo è fatto di telecamere e microfoni, di inviati e di cameraman e si muove nello spazio e nel tempo per poter incontrare le fonti e raccogliere le notizie.

Tanti giornalisti non posso più raggiungere quei luoghi.

Conseguenza di questo vulnus informativo è dimenticare le tragedie, ignorare ciò che accade intorno a noi.

È quella di non poter rendere giustizia alle tante persone in balia delle onde, che lottano per la vita nel buio e nell’anonimato. Invisibili coperti da un nuovo muro: il muro del silenzio.

Sì, perché oltre ai muri fisici ci sono quelli dell’indifferenza, dell’oscurità e dell’omertà.

Il giornalista d’inchiesta è chiamato ad abbattere quei muri. I giornalisti che hanno a cuore la loro professione devono togliere mattone dopo mattone da quei muri per far vedere che esiste un’altra parte.

Devono illuminare le oscurità e far emergere il sommerso.

Il tempo che stiamo vivendo è importante.

Questo tempo ci chiede di tenere le navi di soccorso in mare per salvare vite, di sostenere senza esitazione chiunque stia operando a tutela di ogni singola vita e chiunque ambisca invece farlo.

Le persone che continuano a morire nel Mediterraneo (e così nella Rotta Balcanica) sono tante, troppe. A fine 2019 e (inizio 2020) il mar Mediterraneo era deserto perché le navi di soccorso erano bloccate nei vari porti.

La barca a vela utilizzata nell’ultima missione televisiva di Rai News di cui facevo parte, di ricognizione, era adibita a ospitare 17 persone e ne caricò settanta incontrati in mare. Salvò la vita a bambini, minori non accompagnati, donne e uomini. A Lampedusa fu però impedito l’ingresso al porto; furono giorni difficili, vissuti in condizioni indescrivibili.

Qualcuno, ancora, le missioni di salvataggio continua a chiamarle «crociere» definendo «crocieristi» i reporter che salgono a bordo delle navi, per documentare.

La nostra «crociera» è sempre un atroce e faticosissimo viaggio nell’inferno, che lascia segni indelebili di un’umanità violata.

Nancy Porsia (unica giornalista intercettata direttamente e a lungo) non era l’unica ad essere ascoltata, registrata e trascritta dal grande orecchio segreto. Molti colleghi dal 2017 in poi sono stati ascoltati al telefono con parenti, amici, colleghi, avvocati e soprattutto con le loro fonti private. Era l’anno – quando il tutto partì – dell’attacco alle Ong definite da molta parte della politica «i taxi del mare».

In quel periodo i colleghi che si occupavano di flussi migratori nel Mediterraneo centrale finirono nel «mirino» di coloro che «remavano» contro l’accoglienza. Un fatto inaudito per un paese democratico.

La Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e l’Associazione articolo 21 hanno chiesto alla ministra della Giustizia Marta Cartabia di indagare e la richiesta è stata prontamente disposta.

Oggi purtroppo, l’indelebile esito di quelle intercettazioni sarà che le fonti (tutelate secondo il segreto professionale – definito carattere fiduciario) si sentiranno in pericolo e probabilmente non racconteranno più nulla ai giornalisti. Molti colleghi esperti di migrazioni saranno messi all’angolo, o a fare altro, in attesa di tempi migliori.

Più i giornalisti saranno attaccati e più sarà netta una certezza: che il nostro lavoro è prezioso, utile e necessario. E a chi ci attacca rispondiamo: le vostre offese sono le nostre medaglie.

 

Foto di Freedom House