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La sorpresa della risurrezione

«Perché cercate il vivente tra i morti? (…) Voi siete testimoni di queste cose» (Luca 24, 5; 48). La comuni-tà credente conosce bene la Pasqua, non è digiuna di risurrezione, è radicata in questo evangelo.

Ogni anno, tra marzo e aprile, essa torna a immergersi nel messaggio di Pasqua. Ma ogni anno essa è raggiunta di nuovo, perché questo evangelo le si presenta sempre in modi inediti. Come per le donne al sepolcro così per la comunità credente: Pasqua è una sorpresa. E resta tale.

Perché Pasqua è la vittoria della vita sul potere della morte, solo Dio può donarla. Ci si prepara, ovviamente, a ricevere l’evangelo della risurrezione. Per esempio, si ricapitola mentalmente ciò che ci si ricorda di Gesù e del suo ministero, magari mentre si è lungo la strada per andare in chiesa. La memoria delle parole, delle azioni, del destino di Gesù è fondamentale. Per noi che viviamo 2000 anni dopo, il ricordo equivale un po’ ai gesti amorevoli che le donne compirono due giorni dopo la morte di Gesù.

La memoria degli anni della Galilea o delle giornate di Gerusalemme serve a strutturare la fede. Tuttavia, per quanto accurati possano essere i preparativi, l’annuncio della risurrezione continua a provocare sorpresa. Il dato della morte occupa tutto lo spazio.

Uno scrittore contemporaneo fa dire così al personaggio di un’infermiera: «Si impara presto a convivere con l’idea di poter morire. Si fanno progetti a breve scadenza…, si programma la vita a un mese, due mesi… Si tira avanti»(1) .

Parole di straordinaria attualità, quando si pensa a ciò che è accaduto nelle corsie degli ospedali in questo ultimo anno. Ma, in fondo, parole che possono essere riferite anche alla Pasqua. Si impara presto a convivere con la morte di Gesù. Del resto, che cosa c’è di più certo se non il fatto che prima o poi tutti dobbiamo morire?

Perché Gesù dovrebbe sottrarsi a questo destino? In realtà, l’esperienza delle donne al sepolcro è sì di sorpresa ma ancor più è di contrasto. Le donne trovano qualcosa che non si aspettavano di trovare, cioè la tomba aperta; e non trovano la salma di Gesù, che invece si aspettavano di trovare. La comunità credente può esprimere la fede di Pasqua muovendosi dentro questo contrasto. La morte è un dato certo, ma anche Dio lo è; e il modo con cui Dio si fa trovare consiste proprio in ciò che l’occhio umano (esteriore e interiore) meno è disposto ad attendersi: la risurrezione del Crocifisso.

Mi pare che questa situazione di contrasto renda un poco più digeribile la domanda degli angeli alle donne: «Perché cercate il vivente tra i morti?», che altrimenti inchioderebbe al fatto che, perfino a Pasqua, il convincimento umano più profondo è pur sempre la vittoria della morte. Il contrasto crea invece uno spazio di discutibilità dell’assioma che vuole la morte (e le potenze del peccato che la generano) vittoriosa comunque, su tutto e su tutti. E la domanda degli angeli, più che come rimprovero colpevolizzante, risuona come invito a porsi davanti a Dio secondo la postura che Gesù ha insegnato e richiesto.

Certo, anche questo spazio di messa in discussione del potere della morte pone delle questioni. Per esempio, ci piacerebbe tanto sapere se il ricordo delle parole di Gesù, sollecitato dai due misteriosi interlocutori, a cui alla fine le donne si abbandonano, si accompagna alla fede nella risurrezione. Ma per il momento la questione deve rimanere aperta. Perché la fede di Pasqua nasce dall’incontro personale con Gesù Cristo, come accade ai due di Emmaus. Affinché la fede nasca bisogna che, nell’avventura umana di ogni donna e ogni uomo, il Signore Gesù appaia, incontri, cammini, insegni, si sieda a mangiare, si lasci toccare, produca egli stesso la relazione con Dio, la mantenga viva di fronte agli imbarazzi e alle perplessità, la nutra di fronte alle monotonie e alle ripetitività, la faccia ardere nei cuori di fronte alle smanie di onnipotenza degli esseri umani.

Anche la fede è vulnerabile. Come potrebbe rinnovarsi se non ricevesse del continuo l’evangelo di Pasqua! La comunità dei credenti ha bisogno dell’annuncio della presenza di Dio in Cristo risorto come dell’aria che respira, perché è solo in questo ascolto specifico e particolare che essa aderisce, partecipa e diviene protagonista per ciò che le compete.

«Quando tu leggi: Il Cristo è risuscitato – diceva Lutero – aggiungi di seguito: io sono resuscitato, e tu sei risuscitato con lui, perché è necessario che noi siamo resi partecipi della sua risurrezione. Non imparare questo significa non imparare niente del tutto». Le esperienze della tomba vuota e degli incontri con il Signore risorto confermano la comunità nella fede e la preparano perché la proclamazione di Gesù Cristo spicchi il volo: «Voi siete testimoni di queste cose».

Partecipare vuole anche dire restituire ai contemporanei. Restituire alle donne e agli uomini del nostro tempo il ricordo vivo e attivo del regno di Dio che in Gesù viene, del perdono gratuito, che le potenze del peccato e della morte vogliono impedire. Già da domani, vera Pasqua dell’anno prossimo.

 

(1.) C. Coletta, Viale del Policlinico, Sellerio, 2019.

 

Foto di WikiM0tty via flickr