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5 anni dall’accordo Europa-Turchia, «Un enorme passo nella direzione sbagliata»

«In data odierna i membri del Consiglio europeo hanno incontrato la controparte turca, in quella che da novembre 2015 è la terza riunione volta ad approfondire le relazioni Turchia-UE nonché ad affrontare la crisi migratoria. La Turchia e l’Unione europea hanno riconfermato l’impegno ad attuare il piano d’azione comune attivato il 29 novembre 2015. Sono già stati compiuti molti progressi, tra cui l’apertura, da parte della Turchia, del mercato del lavoro ai siriani oggetto di protezione temporanea, l’introduzione di un nuovo obbligo in materia di visti per i siriani e i cittadini di altri paesi, l’intensificazione degli sforzi in materia di sicurezza da parte della polizia e della guardia costiera turche e un potenziamento della condivisione delle informazioni»

Questo è l’incipit dell’accordo fra Unione Europea e Turchia datato 18 marzo 2016, cinque anni fa esatti.

Un patto siglato sull’onda dei grandi flussi di persone migranti giunte in Europa in fuga disperata soprattutto dal drammatico conflitto in Siria in quella che è ancora oggi la peggior crisi umanitaria dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Ci fu in precedenza una breve stagione in cui sembrava possibile che l’Europa, trainata dall’esempio tedesco, optasse per una politica migratoria più lungimirante, strutturale, volta ad assorbire anche la necessaria forza lavoro che la popolazione sempre più anziana non è in grado di garantire più. Ma il milione di siriani accolti nel 2015 da Angela Merkel resteranno una lodevole eccezione. In quella stagione di presunta invasione prendono piede i partiti di estrema destra con slogan e simboli che credevamo relegati al passato più buio. Afd nella stessa Germania, Vox in Spagna, Alba Dorata in Grecia, la Lega in Italia, compiono grandi balzi in avanti nei favori di un elettorato spaventato per la crisi economica e l’erosione dello stato sociale.

E’ a questo punto che si assiste alla netta sterzata dei leader europei che iniziano a ragionare di frontiere esterne, di rimpatri, di “paesi terzi” sicuri in cui parcheggiare queste persone. Insomma lontano dagli occhi..

L’accordo con la Turchia di Recep Erdogan ne è il simbolo. 6 miliardi e mezzo di euro di soldi dei contribuenti europei hanno gonfiato le casse di Ankara in questi 5 anni. Una cifra enorme, utilizzata dal dittatore turco per diventare un attore geostrategico sempre più invasivo nella regione e decisivo negli equilibri di forza fra le diverse tensioni mediterranee. Erdogan ha gettato la maschera e infatti il processo di adesione all’Unione Europea da parte della Turchia, uno dei punti chiave dell’accordo del 2016, è scomparso dall’agenda diplomatica di tutte le parti in causa, fra accuse di violazioni dei diritti umani da una parte e di volontà neocoloniale dall’altra.

La Turchia ospita circa 4 milioni di profughi fra i suoi confini, una cifra elevatissima, e la maggior parte in condizioni non certo adatte a quanto le prebende di Bruxelles dovrebbero garantire. Nel mentre le isole greche e l’area balcanica sono diventate un imbuto, o meglio una strada senza uscita, in cui sono imprigionate decine di migliaia di esseri umani, a poche centinaia di kilometri dai nostri confini, in un Medio Evo dei diritti e dell’umanità di cui la storia ci chiederà conto.

Amnesty International chiede ai leader dell’Unione europea di abbandonare i cinque anni di politiche fallimentari che hanno costretto decine di migliaia di persone a vivere in condizioni disumane sulle isole greche e hanno messo in pericolo i rifugiati, costringendoli a stare in Turchia. Mentre ministri dell’Interno e degli Esteri dell’Ue si preparano a discutere sull’ulteriore ampliamento della cooperazione con paesi fuori dall’Europa in tema di migrazioni, Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty presso le Istituzioni europee ha dichiarato:

«L’accordo Ue-Turchia è stato un misero fallimento. L’Ue e gli stati membri non sono riusciti a farsi carico delle persone in cerca di salvezza in Europa. Non sono riusciti a rispettare i diritti di rifugiati e migranti e non sono riusciti a offrire alle persone in cerca di protezione un percorso alternativo sicuro per raggiungere l’Europa. I ministri devono dare priorità a soluzioni fattibili che potrebbero salvare vite umane. Le scandalose politiche come l’accordo Ue-Turchia e la sciagurata cooperazione dell’Ue con la Libia non può rappresentare un modello da seguire per accordi futuri con altri paesi in materia d’immigrazione. Questo accordo è stato deleterio per la storia dei diritti umani dell’Ue e ha messo in luce la volontà dell’Ue di sottoscrivere patti di limitazione dell’immigrazione basati esclusivamente sulla convenienza politica e con scarso interesse per l’inevitabile costo umano».

Le chiese evangeliche in Italia iniziarono proprio allora, di fronte alla grande emergenza umanitaria del fronte orientale del Mediterraneo, i ragionamenti che portarono da lì a breve alla creazione dei corridoi umanitari, canali di accesso sicuri e legalitari nel territorio europeo.

Furono purtroppo buoni profeti sia il coordinatore del programma Rifugiati e Migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) Paolo Naso che il pastore Luca Maria Negro che della Federazione era ed è il presidente.

Il primo, a pochi giorni da quel 18 marzo 2016, commentava in un articolo di Federica Tourn dal titolo Lotteria Europa” «Credo si debba avere una grande preoccupazione per l’esito di questo vertice perché rappresenta la realizzazione di un obiettivo concepito alcuni mesi fa nel processo di Karthoum, un accordo firmato con diversi paesi africani in cui ci si proponeva di esternalizzare le frontiere dell’Unione, spostando fuori dai confini europei il luogo dove gestire le richieste d’asilo. In questo modo l’Unione europea rinuncia alla sovranità in materia di sicurezza e di politiche di asilo».

Il presidente della Fcei Negro sottolineava come «L’illusione di alcuni paesi dell’Europa di creare una barriera in Turchia che fermi le migrazioni dal Medio Oriente e dal Nord Africa si trasformerà in un incubo per migliaia di rifugiati e richiedenti asilo che si troveranno intrappolati in enormi centri di accoglienza, privi di tutela giuridica ed esposti all’arbitrio di autorità di polizia svincolate dalle norme e dai principi dell’Unione europea». «La strada non è quella delle barriere e dei muri – afferma ancora Negro – ma quella di corridoi umanitari che consentano ai richiedenti asilo di raggiungere in sicurezza l’Europa, avanzare la loro domanda e godere della protezione che le convenzioni internazionali garantiscono loro. Certo, è una strada onerosa che richiede un grande sforzo di solidarietà europeo ma è anche l’unica coerente con i principi etici e giuridici che sono alla base dell’Unione e delle varie convenzioni sottoscritte dai paesi che la compongono.

«C’è un principio ancora meno chiaro degli altri, – chiedeva in un’ intervista Marco Magnano al vice presidente di Asgi (associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) Gianfranco Schiavone – ovvero quello secondo cui, come recita l’accordo, “per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’Unione europea tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite”. Come funzionerà?

«Il principio “uno fuori e uno dentro” effettivamente è quello che lascia più attoniti – rispondeva Schiavone- , nel senso che non si parla solamente di individui, ma espressamente di una nazionalità, quella siriana. L’accordo dice che per ogni siriano che verrà rinviato in Turchia un altro siriano verrà invece inserito nel programma di reinsediamento. Provate a sostituire la parola “siriano” con la parola “ebreo”: l’immagine è davvero terribile. I siriani potrebbero essere rimandati in Turchia come richiedenti asilo, e quindi in virtù del concetto di paese sicuro non potranno nemmeno chiedere protezione, oppure perché non hanno inoltrato la domanda d’asilo, ma in questo caso i siriani comunque non potrebbero essere respinti perché si andrebbe a violare il principio di non respingimento verso zone insicure.

Se i siriani hanno diritto alla protezione, allora perché quel siriano che è arrivato viene rinviato e scambiato con un altro? A nostro parere perché c’è una logica punitiva: quel siriano che viene “restituito” alla Turchia non doveva tentare di arrivare in Europa, e per questo all’Europa non interessa cosa gli potrà accadere, ma prendiamo al posto un altro siriano che non ha cercato di raggiungere i nostri Paesi. È come se trattassimo le persone come degli oggetti, come dei bambini da punire a seconda dei comportamenti. Dietro questo atteggiamento c’è una logica totalitaria, e vorrei che questo fosse il punto che, al di là di ogni tecnicismo, segnasse la coscienza critica dei cittadini europei. Oggi questa logica si applica nei confronti degli ultimi, domani forse nei confronti degli altri. Come cittadino europeo sono preoccupato dal fatto che si possa essere anche solo sfiorati da pensieri di questo tipo, figuriamoci quando vengono tradotti in accordi internazionali».

«Il patto UE-Turchia è un accordo disumano, che ha portato dolore, morte e sofferenza per migliaia di vite umane intrappolate qui in Grecia – afferma Apostolos Veizis, direttore esecutivo di Intersos Hellas –Oggi, 5 anni dopo, facciamo i conti con l’enorme portata della crisi umanitaria creata dalle politiche dell’UE nelle isole greche. Questo accordo rappresenta la persistente volontà dei governi europei di continuare a portare avanti misure di contenimento, invece di trovare soluzioni umanitarie praticabili. Tutto ciò che fanno queste politiche è aumentare la miseria delle persone e spingerle verso percorsi migratori più pericolosi. L’accordo UE-Turchia continua ad essere un enorme passo nella direzione sbagliata, in quanto formalizza un sistema che minaccia il diritto di asilo, ignorando completamente le esigenze umanitarie e di protezione. Non ha mai funzionato e non funzionerà mai. Questa è una politica che ha portato solo dolore, tristezza e miseria a persone già traumatizzate, perpetuando una situazione insopportabile».

 

Foto di Bestgreenscreen via Flickr