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Edmondo De Amicis e la sua (nostra) Ginevra italiana

L’11 marzo del 1908 moriva a Bordighera Edmondo De Amicis.

Nato nel 1846 a Oneglia (Imperia) Edmondo De Amici a sedici anni entra nell’Accademia militare di Modena, ma quella militare non sarà la sua carriera.

De Amicis, infatti, interrompe presto la scelta intrapresa e diventa così un apprezato scrittore e giornalista.

Il 17 ottobre 1886, data importante, l’editore Treves pubblica il libro più popolare e di successo dell’autore: «Cuore».

Nel 1896, De Amicis aderisce al socialismo. Una presa di posizione e di coscienza visibile nelle opere suvccessive e nelle quali appare evidente il superamento dell’ideologia nazionalista che l’aveva ispirato precedentemente.

Edmondo De Amicis, dunque, sensibile alle cause dei più vulnerabili, dei più poveri e delle minoranze, sarà porprio colui che conierà la celebre definizione data al Comune di Torre Pellice, rcittà delle Alpi Cozie in provincia di Torino e «capitale» delle comunità protestanti valdesi, definendola, «La Ginevra italiana».

Definizione che sarà il titolo del capitolo del libro Alle porte d’Italia  e che De Amicis farà iniziare raccontando il suo viaggio in treno (da Pinerolo a Torre Pellice) fatto con due suoi amici, non a caso (come lui stesso sostiene) editori.

«Noi stiamo per entrare, siamo già entrati, anzi – si legge –, in una regione famosa e gloriosa, in una piccola Svizzera italiana, che ha là vicino, in Torre Pellice, la sua Ginevra, in mezzo a un popolo singolare, che forma come una nazione a parte nel seno della nostra nazione, raccolto quasi tutto e accampato in una vasta fortezza quadrilatera di montagne dirupate e boscose, compresa tra l’alta Valle del Po, la frontiera del Definato e la Valle Susa. Questo popolo ha una storia propria, la cui origine si perde nell’oscurità del medio evo, una fede sua, una sua letteratura, un suo dialetto, un particolare organamento religioso democratico, che appartiene a lui solo, un’assemblea libera che tratta e decide dei suoi interessi più delicati, delle istituzioni speciali, fondate in parte e sostenute dalla liberalità di gente d’ogni nazione. Non occupa, e scarsamente, che tre valli, di cui una piccolissima, e otto valloni; e ha corrispondenze e stazioni in tutte le parti d’Italia, e colonie in Germania e in America, e vanta amicizie di popoli e di principi, ospita visitatori riverenti e devoti di tutti i paesi, manda soldati e divulgatori della sua fede in tutti i continenti. […]. Come il popolo musulmano sostennero urti di crociate fanatiche; furono strappati insieme dalle loro terre come il popolo ebreo; si riconquistarono la patria come il popolo iberico. […] Onore ai valdesi, dunque! Eccoci a Ginevra… Voglio dire a Torre Pellice. Vediamo un po’ questo illustre minuzzolo di capitale».

La prima edizione di Alle porte d’Italia uscì nel 1884 (Sommaruga editore) e successivamente venne data alle stampe una versione aggiornata con l’aggiunta di due capitoli (I difensori delle Alpi e La scuola di cavalleria) nel 1888 (Fratelli Treves editori). Una bella riedizione è anche quella dell’editore Albert Meynier (catalogo oggi custodito dalla Caludiana editrice).

L’edizione, sin dalla sua prima bozza venne immediatamente dedicata (dall’autore stesso) alla città di Pinerolo: «In segno di affetto e riverenza offro queste pagine ispirate dalla bellezza dei suoi monti e dalla nobiltà delle sue memorie», si legge nel libro.

Il 4 aprile del 1884 la città di Pinerolo ricambierà l’affetto e la dedica conferendo a De Amicis la cittadinanza onoraria.

Alle porte d’Italia, dunque, è un affresco romantico e di grande fascino che mostra al lettore le zone montane limitrofe alla città di Pinerolo nella quale De Amicis risiedette per qualche tempo.

Un libro, nel quale si può apprezzare un De Amicis inedito: storico, cronista e intento a rovistare tra le pieghe della storia. Soprattutto quella piemontese, che con l’unità è diventata storia dell’Italia intera.

Anche a Bordighera (dov’è morto De Amicis per un problema celebrale) e nella confinante Vallecrosia, sono tutt’ora presenti delle vivaci comunità valdesi.

Nel XIX e XX secolo, Bordighera era frequentata essenzialmente da cittadini britannici (proprio come a Torre Pellice). «I britannici di fede anglicana – ricorda l’enciclopedia online wikipedia – avevano fatto costruire la loro locale chiesa nel 1873 mentre i protestanti continuavano a essere sprovvisti di un loro tempio in cui celebrare il culto. Fu così che il barone Moritz von Bernus decise di organizzare una raccolta fondi per costruire un luogo di culto adatto ad accogliere i fedeli protestanti che risiedevano a Bordighera.

Nel 1901 il barone, con l’aiuto di una associazione di Francoforte sul Meno, acquistò un terreno in via Bischoffsheim, l’attuale via Vittorio Veneto, per costruire un tempio, che fu poi inaugurato il 20 marzo 1904.

La chiesa fu costruita dall’architetto Rudolph Winter, terzogenito del famoso botanico di origine tedesca Ludwig Winter, progettista fra l’altro dei celebri giardini Hanbury di Ventimiglia.

L’intento dei fondatori era quello di un edificio non riservato alla Chiesa luterana tedesca, ma aperto ad ogni culto religioso, tanto che fu messa a disposizione a diversi credenti di ogni nazionalità e religione.

Nel 1941, la Chiesa evangelica valdese divenne proprietaria dell’edificio, e fedele al progetto iniziale dell’edificio vi continua con la sua politica ecumenica. Oggi il tempio viene talvolta usato anche per conferenze e concerti organizzati in collaborazione con la città di Bordighera.

Vallecrosia ospita invece la nota «Casa (per ferie) valdese di Vallecrosia».