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Come la pandemia sfida le chiese

Essere chiesa insieme nella pandemia – riflessioni da una prospettiva protestante” è il titolo del documento redatto dal Comitato consultivo sulle questioni etiche della Comunione di chiese protestanti in Europa (CCPE) di cui anche la Chiesa valdese fa parte. Un testo guida per le chiese sfidate nel loro servizio dall’emergenza Covid-19 che ne ha messo in luce forze e debolezze. Il documento si articola in sezioni che rimandano a settori di attività costitutivi dell’essere chiesa risalendo alla loro terminologia greca: leiturgia (liturgia), martyria (testimonianza), diaconia (giustizia e azione sociale), koinonia (comunione). Di questo documento parliamo con il filosofo Luca Savarino, membro del Comitato consultivo sulle questioni etiche della CCPE nonché coordinatore della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi.

L’articolazione del documento è interessante. La pandemia è un’occasione per riscoprire la complessità del nostro essere chiesa? Si tratta di elaborare strategie nuove o di ritrovare un’anima che ci stavamo dimenticando?

Non mi pare che il documento contenga innovazioni o riscoperte rispetto a quello che noi immaginiamo essere il ruolo delle chiese protestanti europee. Ciò che emerge dal testo è l’immagine di una chiesa calata appieno nella modernità di cui accetta le sfide. Una chiesa che non accusa né si mette sulle barricate ma che cerca di risolvere i problemi che ha di fronte in maniera costruttiva, accettando quei meccanismi democratici che possono essere migliorati ma che vanno compresi e accolti.

Dal punto di vista etico il documento pone l’accento su questioni importanti: la necessità di limitare la propria libertà personale per il rispetto dell’altro e per la salvaguardia della salute pubblica; la sollecitazione a una vaccinazione globale in netta contrapposizione a un nazionalismo vaccinale che purtroppo nel mondo in questi mesi è stato preponderante; infine riconosce che in un contesto pandemico e di scarse risorse si è ricorsi al triage, vale a dire alla selezione dei pazienti nell’accesso alle cure. Ammettere che si è dovuto farvi ricorso è fondamentale affinché non avvenga più ma ciò si può ottenere solo potenziando i servizi sanitari nazionali e i presidi ospedalieri. Importante anche che il documento dica che il triage è accettabile solo se guidato da un criterio clinico. Mi sembrano punti che denotano una forte assunzione di responsabilità da parte delle chiese.

Come possono le chiese tradurre, nel concreto, i principi a cui il documento si rifà?

Credo che le chiese debbano comprendere i problemi che si presentano loro dinnanzi cercando di abitare al meglio le istituzioni democratiche del mondo moderno. Il documento, quando parla delle misure restrittive che concernono la libertà di culto, invita le chiese a comprendere la legittimità di questi provvedimenti ma senza rinunciare al loro spirito critico, spronandole a individuare misure alternative. Un esempio è quello di organizzare il culto attraverso strumenti diversi da quelli tradizionali. E continuare a coniugare la testimonianza verso l’esterno con il servizio diaconale ai più vulnerabili.

Il documento riporta una citazione del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer che ci richiama “alla preghiera e alla pratica della giustizia”. Che cosa ha da dire il documento a un pubblico esterno alle chiese?

Io credo che il documento abbia molto da dire a un pubblico esterno. I temi e le riflessioni che negli anni le chiese protestanti hanno fatto propri dovrebbero essere divulgati maggiormente nella società. Penso, in particolare, al tema della solidarietà sociale e a quello dell’ecologia. Quando si parla di ecologia, di superamento dell’antropocentrismo, tutti temi che la pandemia ha riportato alla ribalta, a molti viene in mente l’enciclica del Papa “Laudato si’” dimenticando che i protestanti avevano già affrontato la questione nel 2004, con la Confessione di fede di Accra, in cui si segnalava l’emergenza economica ed ecologica.

Il testo rivendica l’importanza del fare comunità nonostante il distanziamento sociale imposto. Una sfida per le chiese… 

Io parlerei di distanziamento non sociale ma fisico perché possiamo rimanere in contatto socialmente anche se manca la prossimità fisica, per esempio per via digitale. Certo le chiese debbono fare di tutto per raggiungere i propri membri. Ma è altresì importante che esse riconoscano quanto il distanziamento fisico non sia uguale per tutti. La distribuzione diseguale del lavoro domestico, la stessa violenza domestica così come un accesso alla didattica alternativa non garantito per tutti sono esempi di una questione sociale di cui è bene farsi carico. Insomma le chiese non debbono dimenticare le categorie a rischio, qualunque esse siano, ricordarsi che esistono gli ultimi e i perdenti. Non sottrarsi alla responsabilità spirituale nei confronti di chi soffre è fondamentale perché il Covid ha generato molto smarrimento.

Tratto da chiesavaldese.org