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Nucleare, le dimensioni sociali del rischio

E’ in distribuzione negli esercizi commerciali, nelle biblioteche, nei luoghi pubblici del territorio del pinerolese (To) il numero di marzo del free press L’Eco delle valli valdesi. Il dossier di questo mese è dedicato alla difficile gestione dell’eredità nucleare in Italia. Una gestione che al momento riguarda soprattutto il Piemonte.

L’Eco delle valli valdesi è anche leggibile on line sul sito www.riforma.it a questo link.  Qui di seguito un articolo del dossier: Giacomo Rosso ragiona sulle dimensioni sociali del rischio nucleare insieme al sociologo Vittorio Martone. Buona lettura.

 

Dal momento in cui è stata pubblicata la lista delle 67 aree idonee a ospitare il Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, i media hanno dato ampia risonanza alle posizioni più forti, spesso quelle espresse con più veemenza. Si è raccontato di molti territori che si sono mobilitati contro l’impianto delle infrastrutture di Sogin, lasciando poi poco spazio alle ragioni tecnico-scientifiche, che in questo caso hanno una rilevanza fondamentale.

Con l’avvicinarsi del termine ultimo entro il quale i Comuni devono far pervenire a Sogin le loro osservazioni, si è sollevato un interrogativo: quale dimensione avrà più peso nella scelta del sito finale, il rischio calcolato dalla scienza o la percezione del rischio da parte delle popolazioni che abitano i territori interessati?

È complesso rispondere a questo quesito, ma sicuramente il rischio percepito giocherà un ruolo politico molto importante. Tutto ruota attorno alla narrazione che viene portata avanti sui siti legati al nucleare: questa alimenta la percezione dei rischi e turba i cittadini. Si tratta di tematiche che vengono da un passato neanche troppo lontano e che affondano le loro radici nelle prime battaglie ambientaliste italiane degli anni Ottanta.

C’è poi una seconda dimensione di cui occorre tenere conto, quella del linguaggio. Spesso, nell’affrontare tematiche complesse e legate all’ambito tecnico-scientifico, queste «appaiono come oggetti opachi e di difficile accesso, che richiedono un vocabolario quantomeno respingente. E questo complica la controversia tra il rischio calcolato e il rischio percepito, controversia che non fa solo confliggere la scienza con chi prende la decisione, con la politica, ma fa spesso scontrare la scienza con la scienza, e questo è un problema», spiega Vittorio Martone, sociologo e ricercatore presso l’Università di Torino.

Le controversie tra esperti possono arrivare a portare anche a una sfiducia nei confronti degli stessi esperti, e ciò alimenta le problematiche del rischio percepito. Secondo Martone «a questo punto si presenta un bivio per la politica: agire ascoltando i tecnici o decostruire la scienza, sposando opposizioni basate su percezioni sociali del pericolo». È venuta meno negli anni quella corrente di decisionismo politico che tendeva a imporre la presenza di opere sui territori piuttosto che discutere le forme e le applicazioni con gli abitanti, eppure è ancora forte la sensazione di opere “calate dall’alto”. «Si tratta di logiche in gran parte superate, anche nei processi decisionali più difficili ci sono stati dei tentativi di mediazione come prevede la stessa legislazione italiana sul dibattito pubblico. C’è quindi un certo senso di vittimismo da parte di chi lamenta di non poter partecipare alle scelte». 

C’è però anche un altro piano su cui la politica può innestarsi. Intorno alle diverse opposizioni che possono crearsi sui territori possono nascere dei comitati, talvolta anche molto agguerriti nel sostenere determinate posizioni, ma questo processo mette in discussione il concetto di rappresentanza politica. Gli eletti potranno allora trovarsi di fronte a una nuova scelta tra aprire dei tavoli di mediazione o cavalcare l’onda delle opposizioni. A dominare sull’intera questione c’è un importante concetto, quello della cosiddetta “collassologia”, secondo cui il mondo e l’umanità stanno per affrontare un collasso imminente. Senza voler negare i fortissimi impatti degli esseri umani sugli ecosistemi terrestri, si può però notare come «lo schema narrativo dell’antropocene è molto drammatico… ogni scelta ha la teatralità specifica di un mondo che va verso la sua fine, e ciò complica governare questo tipo di processi e decisioni», spiega ancora Vittorio Martone. I fenomeni sociali rappresentano un continuo divenire, ma sicuramente un ruolo fondamentale lo potranno giocare le Istituzioni che sapranno essere più efficienti e garantire una maggiore coesione per ridurre al minimo la magnitudo dei conflitti che andranno a innescarsi.

 

Nella foto  di Pallanz (Matteo Pallanza), CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons, la centrale termoelettrica di Trino Vercellese (Vc)