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Bruno Rostagno, la predicazione nel segno della riconoscenza

Bruno Rostagno, deceduto ieri a Pinerolo all’età di 85 anni, ha rappresentato quella che è la pratica pastorale nella piccola realtà delle chiese evangeliche del nostro Paese: un lungo ministero fra la gente delle chiese locali servite, e una serie di incarichi condotti parallelamente, nella consapevolezza che alla vocazione che il Signore ci rivolge si risponde con la pluralità dei doni che già Egli ha voluto concedere a ognuno e ognuna. Una pratica, dunque, che richiede di condurre comunità, di seguire umanamente le persone, di esercitare la mediazione, di essere presenti in città, di lavorare in commissioni di studio per mantenere la “macchina chiesa” a pieni giri. La serenità e l’atteggiamento di umiltà con cui Bruno Rostagno ha seguito questa linea di condotta gli venivano dalla riconoscenza, sempre e comunque, per Colui che lo aveva chiamato al suo servizio e per tutte le persone incontrate nel cammino, ed è la cifra con cui possiamo leggere la sua vicenda nella Chiesa valdese.

Già al momento dell’emeritazione, nel 2005, guardava con simpatia ai vari momenti della sua formazione: alla Scuola Latina di Pomaretto, al liceo di Alessandria, e poi naturalmente alla Facoltà valdese di Teologia e all’Università di Basilea. Il pastorato di Bruno Rostagno si è svolto in varie sedi: a partire dal periodo di prova (dal 1959), Agrigento, poi Milano, Sampierdarena e Sestri Ponente, Genova, Rodoretto; una prima presenza a Torre Pellice nel 1967-71 e poi la direzione del Centro ecumenico di Agape (1971-75) a cui seguono le sedi di Prali e poi Villar Perosa (1982-89, quando ebbe anche l’incarico di presidente della Comm.ne esecutiva distrettuale); poi ancora Torre Pellice (1989-2001) prima dell’ultimo incarico, di pastore valdese alla Chiesa metodista di Firenze. Negli ultimi anni faceva parte del direttivo della Fondazione Centro culturale valdese e del seggio della Società di studi valdesi.

Nel frattempo aveva avuto un incarico di «professore visitante» nell’istituto teologico delle chiese dell’area rioplatense (1978) e una sua caratteristica è stata quella di “accompagnare” fraternamente pastori e pastore in prova, come avveniva fin dagli albori del movimento valdese medievale. Era presidente del Comitato editoriale della Claudiana nel “volumone” con l’elenco degli editori al primo Salone del libro di Torino (1988), si è occupato di catechesi, ha seguito da vicino per molti anni i gruppi di coppie e famiglie interconfessionali; una lunga presenza nella Commissione culto e liturgia chiarisce come egli non ritenesse sufficiente il “sermone” a fare un culto; neanche la più scrupolosa esegesi e la più rigorosa teologia potevano essere sufficienti a rendere lode a Dio, se erano trascurate la preghiera, il canto comunitario, la successione ordinata dei vari momenti.

Questo impegno spiega anche la sua presenza nella Commissione ad hoc che curò l’edizione 2000 dell’«Innario cristiano», al momento in uso nelle chiese evangeliche: un lavoro da cui emergeva la sua consapevolezza teologica, ma anche una passione tutta personale per la musica. Naturalmente sul gradino più alto del suo podio ideale stava J. S. Bach, ma Rostagno amava anche moltissimo il periodo del Romanticismo, e la curiosità di conoscere lo portava a incursioni anche nel ‘900, per esempio nelle sinfonie di Shostakovic. Amava ascoltare la musica, parlarne con altri, far sentire loro i suoi dischi, discutere criticamente dei diversi esecutori. Lo stesso atteggiamento che lo portava a essere attento e a volte severo nel giudicare articoli e libri, ma pronto sempre a capire le ragioni che spingevano autori e autrici in direzioni diverse dalle sue.

È stato infatti anche nel Comitato di redazione del “fratello anziano” del settimanale «Riforma», l’«Eco delle Valli Valdesi – La luce» negli anni ‘70, ma non ha mai fatto mancare la sua collaborazione fino a pochi mesi fa, quando si trattava di scrivere per la nostra stampa: in particolare scrupolose recensioni di libri teologici, ma anche le cronache delle attività dei gruppi di sostegno alle Missioni nel mondo, attivi nella chiesa di Torre Pellice dove si era trasferito negli ultimi anni: anni in cui, fino al dilagare della pandemia, ha continuato con gioia a dare contributi ai culti nella zona; in queste occasioni era solito indicare all’attenzione dei presenti le realtà di cristiani perseguitati nel mondo o che avevano bisogno di traduzione della Bibbia. Era un altro modo per vivere la comunità invisibile di chi condivide la fede, con tutte quelle persone che, come disse in occasione dell’emeritazione, «…ovunque mi hanno profondamente aiutato nell’esperienza pastorale, dando alla chiesa più di quello che le davo io pastore».

(Foto di Pietro Romeo)