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Il turismo può giovare all’identità

Viviamo nella stagione del Covid 19, ma anche a livello europeo in quella dei “manifesti”. Spesso si tratta di documenti programmatici che provano a immaginare in Europa un mondo diverso per il dopo-Covid; tutti ovviamente guardano al Next Generation Eu e al Green Deal europeo, cioè alla programmazione che l’Unione europea sta cercando di darsi, e alle linee di sostenibilità ambientale che si vorrebbero seguire.

In questa dimensione recentemente è stato reso pubblico il Manifesto del turismo europeo (maggio 2020/ultimo aggiornamento febbraio 2021) sottoscritto da numerose realtà anche italiane (tra gli altri, in un elenco di quasi 70 istituzioni, sono presenti Europa nostra, Federturismo, la via Francigena, European Historic House, European Tourism Association). Un documento su cui si sta lavorando soprattutto in Germania, dove per esempio i musei legati a Lutero, e risistemati per il 2017, stanno pagando alla pandemia uno scotto alto, peraltro come le varie “vie” legate alla Riforma riunite in Europa nelle Route of Reformation.

I dati sul turismo che dà il sito web a cui il manifesto è legato (www.tourismmanifesto.eu), e che trae dal WTTC & UNWTO (World Travel & Tourism Council – Organizzazione mondiale del turismo/Onu) relativi al 2019, parlano di un settore che rappresenta il 9,5% del Pil europeo, di 22,6 milioni di persone impiegate e 579 milioni di visitatori internazionali.

Ma il 2020 ha cambiato le carte in tavola e bisogna trovare idee per «un sistema diverso che tenga conto dei cambiamenti avvenuti». Proporre trasformazioni solitamente è l’obiettivo dei manifesti, e quello per il turismo non poteva essere diverso.

Articolato in quattro sezioni («perché investire nel turismo»; «le riforme proposte»; «i finanziamenti richiesti»; e «alcuni casi studio»), il Manifesto è stato portato all’attenzione europea in vista dei piani che si inseriranno nel Next Generation Eu. Più nel concreto si parla di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale nell’Ue. Si chiede di sostenere il settore dei viaggi e del turismo perché in prospettiva siano «uno dei motori per lo sviluppo sostenibile» e si dice che questi contribuiscono al benessere e generano entrate necessarie per preservare l’identità, la cultura e il patrimonio delle comunità.

Sostenere il turismo significa, stando al Manifesto, «rafforzare la resilienza dell’Ue e mitigare l’impatto della crisi». E poi serve sostenere le transizioni verdi e digitali: «le soluzioni digitali potrebbero tradursi in un’offerta turistica e una catena del valore più attraente, efficiente e inclusiva».

Le realtà protestanti europee sono sensibili al movimento del Manifesto e lo seguono per esempio con le Route, così come esse sono coinvolte nell’altro documento che è stato sviluppato, al rilancio degli itinerari culturali europei. Ovviamente i due movimenti stanno cercando azioni comuni guardando alla cultura e all’ambiente come motore di sviluppo.

In Italia intanto al ministero dei Beni Culturali è stato affiancato il ministero del Coordinamento di iniziative nel settore del turismo. «Il ministero del Turismo e dello Spettacolo, creato nel 1959 fu soppresso nel 1993 a seguito di un referendum. Dopo un passaggio alla Presidenza del Consiglio, e altre vicende compreso un abbinamento con l’Agricoltura, giunse a far parte dei Beni Culturali. Ora i due sono separati.

I futuri turisti verranno solo al mare o visiteranno i luoghi d’arte, i musei e godranno di tutto il nostro patrimonio immateriale?». Questo il commento a caldo di un operatore della cultura. Poi il giorno successivo c’è stato il passaggio di Mario Draghi in Senato e qualcosa si è chiarito, ma il mondo del turismo e della cultura ha continuato a essere in “movimento”. «Occuparsi di turismo equivale a entrare nel campo minato della valorizzazione – si leggeva in risposta al commento precedente –. Un settore che molti addetti preferiscono snobbare…».

Mario Draghi però nel suo discorso è stato chiaro: «Alcuni modelli di crescita dovranno cambiare. Imprese e lavoratori del settore turistico vanno aiutati», ma bisogna «preservare città d’arte, luoghi e tradizioni». Poi ha parlato di ambiente e di futuro: «Proteggere il futuro dell’ambiente richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane».

Nel nostro Paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare (…). Il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive del-a nostra capacità di preservare città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli ci hanno tramandato». Draghi sa che occorre confrontarsi con il Next Generation Eu e con il fatto che la strategia non può che essere trasversale. «Dovremo imparare a prevenire piuttosto che a riparare anche investendo sulla consapevolezza delle nuove generazioni che “ogni azione ha una conseguenza”. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Ue intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti».

In chiusura voglio citare un progetto che si sta muovendo nella dimensione del cambiamento: il Museum of impact (Moi). Un percorso di cooperazione internazionale fra realtà museali, sostenuto dalla Commissione Europea attraverso il programma Creative Europe, che mira allo sviluppo di uno strumento di orientamento strategico e di monitoraggio dell’attività dei musei, con un’attenzione all’impatto sociale. Lunedì 22 febbraio ho partecipato a una tavola rotonda online organizzata dal Moi dove tra le altre cose è emerso che «bisogna guardare alla cultura come welfare culturale, tenere in conto la responsabilità che si ha verso il pubblico di narrare con, e a loro, l’identità del territorio, ma anche dare un apparato critico interpretativo per guardare al futuro».

In generale tutto quanto detto sembrava perfettamente allineato con quanto affermato dai vari manifesti da cui siamo partiti. Suggerimenti e richieste di responsabilità, che arrivano dalla “base” e che dovranno essere tenuti in conto dalla componente politica quando si predisporranno le linee per il futuro dell’Europa.