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Turchia, poca libertà anche per la cultura curda

Nella Turchia di Recep Tayyip Erdoğan si continua a parlare di diritti, in particolare di libertà di espressione. Ancora una volta, il principale bersaglio della politica governativa è il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, molto attivo nel sud-est del Paese. Eppure a farne le spese sono in generale le persone di etnia curda che abitano in tutto il territorio turco. Ne è prova il duro botta e risposta via Twitter che si è verificato il 23 febbraio scorso tra il portavoce principale per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea, Peter Stano, e il suo omologo per il governo turco, Ibrahim Kalin, dopo le azioni di Ankara contro diversi membri del partito con posizioni filo-curde HDP-Partito Democratico dei Popoli.

Questi fatti, uniti a opposte posizioni geopolitiche, stanno portando ad un deterioramento dei rapporti tra Turchia e diversi Stati, tra cui la Francia. Alcuni professori francesi della prestigiosa Università Galatasaray di Istanbul rischiano di essere espulsi dal Paese a seguito dell’introduzione di alcune novità nei regolamenti per i permessi di lavoro tra cui la conoscenza di livello avanzato della lingua turca, requisito difficilmente conseguibile in breve tempo. Diverse fonti raccontano che studenti e professori lamentano da tempo una crescente ingerenza del governo negli affari universitari, con una forte impronta di nazionalismo.

Sul piano della libertà di stampa, secondo il 2020 World Press Freedom Index di Reporter sans Frontières la Turchia nell’anno da poco concluso si è classificata al 154° posto su 180.

La libertà di espressione, però, ha diverse forme, oltre alla politica, all’insegnamento e alla stampa. Il teatro ne è un esempio, e anche in questo caso si sono verificati recentemente degli eventi che hanno destato preoccupazione a livello internazionale.

Bisogna tornare indietro al 13 ottobre 2020, quando la compagnia teatrale Teatra Jiyana Nû era pronta a salire sul palco del Teatro Municipale di Istanbul per mettere in scena Bêrû, un adattamento in curdo della commedia “Clacson, trombette e pernacchi” di Dario Fo. La polizia ha fatto irruzione nel teatro, bloccando la rappresentazione perché “pericolosa per l’ordine pubblico”. Circa un mese dopo la compagnia ha riproposto la medesima commedia a Şanlıurfa, città del sud-est della Turchia a prevalenza curda, ma anche in questo caso la polizia ha impedito che venisse messa in scena.

Quelli che possono sembrare due episodi singolari racchiudono una grande problematica. La compagnia Teatra Jiyana Nû aveva già rappresentato Bêrû in altre occasioni, ma secondo gli attori è il fatto di averla portata in città ad aver scatenato le reazioni avverse, considerando che lo stesso spettacolo è stato messo in scena più volte in lingua turca senza opposizioni. Le autorità turche hanno dichiarato che è possibile fare teatro in curdo, a patto che non si tratti di “propaganda terroristica”. La principale accusa contro Teatra Jiyana Nû è di essere una voce del PKK, e sono state aperte inchieste per verificare questo rapporto.

Resta il fatto che molti attori, oltre a scrittori, giornalisti e accademici, si trovano oggi in carcere, spesso senza accuse chiare o senza sentenze definitive né processi, nella Turchia in cui si lotta per la libertà di espressione.