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Appartenere a Cristo

Non vi sia tra di voi uomo o donna o famiglia o tribù che volga oggi il cuore lontano dal SIGNORE nostro Dio, per andare a servire gli dèi di quelle nazioni; non vi sia tra di voi nessuna radice che produca veleno e assenzio
Deuteronomio 29, 17

Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo
Efesini 4, 31-32

La realizzazione di una nuova umanità è, per l’apostolo Paolo, la conseguenza dell’opera di Cristo. I credenti sono chiamati a spogliarsi del vecchio uomo, cioè di quella vita condotta utilizzando solo le risorse della natura umana, dove la debolezza era sorgente di innumerevoli fallimenti. L’uomo nuovo, invece, è l’umanità rinnovata dall’unione a Cristo per la potenza dello Spirito, è tutto ciò che l’umanità avrebbe dovuto essere nel disegno di Dio quando fu creato a sua immagine.

Queste parole di Paolo sono la conclusione di un discorso che indica come si caratterizzano le nuove relazioni in Cristo.

Quando Paolo presenta l’uomo nuovo, non parla di valori morali universali ai quali aspirare ma di qualità delle relazioni. 

La nuova umanità è capace di vivere relazioni autentiche attraverso la verità e la capacità di gestire la rabbia senza diventarne schiavi.

La nostra appartenenza a Cristo, che è la verità, non si realizza solo nella conoscenza di concetti, ma anche nella veridicità delle relazioni; esse, tuttavia, sono molto faticose. Vivere delle relazioni superficiali e più facile; la difficoltà a vivere relazioni autentiche può facilmente produrre frustrazione e rabbia.

Il consiglio di Paolo è di arrabbiarsi ma di non peccare.

L’apostolo è ben lontano da quelle immagini patinate che dipingono i cristiani come chi non si arrabbia mai.

Non c’è niente di sbagliato nell’arrabbiarsi, talvolta la rabbia è indispensabile per la realizzazione di relazioni autentiche, ciò che è necessario è non permetterle di prendere il sopravvento, è scacciare ogni amarezza, cruccio, ira, clamore, parole offensive, insomma, non lasciarsi dominare permettendole di diventare distruttiva e peccaminosa. 

In questa prospettiva il perdono non è l’impegno umano a rimettere un debito morale, è la manifestazione della bontà di Dio e della potenza del suo Spirito che si realizza nei credenti dando la capacità di esprimere al prossimo lo stesso amore misericordioso che Cristo per primo ha riversato su loro.