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Proteggere la storia, proteggere popolazioni

Nel 2018, l’allora presidente peruviano Martín Vizcarra approvò la costruzione di un nuovo aeroporto nella pianura di Chinchero, nella provincia di Urabamba, nel sud-est del Paese.
Si tratta della regione della città di Cusco, oggi la settima città del Perù e un tempo capitale del grande impero Inca. Ad oggi, i collegamenti aerei con la città sono limitati ai voli nazionali, e il nuovo aeroporto potrebbe trasformarla in uno scalo internazionale.
 
L’intera operazione è stata promossa come una svolta verso l’innovazione di una zona del Perù a vocazione rurale. Nelle comunicazioni ufficiali del Ministero dei Trasporti peruviano si dichiara che si tratterà di uno scalo verde e sostenibile a livello ambientale. A questo si aggiungono anche le grandi potenzialità turistiche della regione, che potrebbero essere sfruttate economicamente ancor più di quanto non si faccia oggi. Basti pensare all’antica città di Macchu Picchu, che potrebbe essere visitata da 6 milioni di persone ogni anno. Cifre astronomiche, insomma, che potrebbero avere importanti ricadute sull’economia locale, ma che portano con sé dei seri rischi per la popolazione indigena e per i siti archeologici stessi.
 
Parte delle terre che saranno destinate alla costruzione dell’aeroporto sono di proprietà di tre ayllus, ovvero clan familiari indigeni che risiedono nel distretto di Chinchero. Il governo locale ha però dichiarato che quello di Chinchero non è un territorio indigeno, perché troppo vicino alla città di Cusco, e questo ha escluso la possibilità per gli ayllus di negoziare per la cessione della loro terra. Ancora prima che si iniziassero i lavori, quindi, il progetto ha spezzato il modello di gestione comunitaria del territorio che veniva portato avanti da secoli, si è interrotta la connessione tra il paesaggio e l’identità delle popolazioni locali. In questo modo si è riaccesa una corsa, mai del tutto sopita, alla speculazione fondiaria: si è verificata una crescita incontrollata di alberghi, aziende e infrastrutture che spoglia ancor di più il territorio del suo valore.
 
Ci sono però delle voci contrarie a questo progetto: sin dalla sua pubblicazione è nata una campagna sulla nota piattaforma online Change.org, e al momento si sono raccolte circa 105.000 firme. Anche il World Monuments Fund, organizzazione non profit con sede a New York che si propone di salvaguardare manufatti architettonici, storici e culturali nel mondo, ha puntato i suoi riflettori sulla vicenda.
 
In particolare, il World Monuments Fund sottolinea i rischi che questo progetto potrebbe innescare per il patrimonio storico-archeologico del territorio di Chinchero. Tornando all’esempio di Macchu Picchu, avere 6 milioni di visitatori all’anno vorrebbe dire circa 22.000 al giorno, una quota “letale” per il sito, considerando che l’Unesco ha fissato la soglia di sicurezza a 2.000. A questo bisogna aggiungere tutto ciò che ancora non si conosce della cultura inca nella pianura di Chinchero, i siti non ancora indagati che potrebbero essere sommersi da un’urbanizzazione sfrenata.
 
Il caso peruviano fa riflettere. Non è certamente la prima volta che si presenta questo dilemma: preservare siti storico-culturali o puntare tutto sull’innovazione e la modernità cercando di voltare pagina rispetto al patrimonio locale? La maggior parte delle volte la scelta non è così drastica e si può optare per soluzioni intermedie, ma in questo caso è evidente un terzo fattore, quello delle popolazioni indigene. Il diritto alla storia, alla propria storia, rischia di essere soffocato dalla modernità.