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Processo aggressione Mazzola: chiesti 3 anni di carcere nei confronti della boss Laera

Tre anni di reclusione – al netto dello sconto di pena del rito abbreviato chiesto dalla difesa – è la condanna richiesta dalla pm Lidia Giorgio della Direzione distrettuale antimafia di Bari nei confronti di Monica Laera, boss del clan Strisciuglio, già condannata in via definitiva per mafia, che il 9 febbraio 2018 aggredì l’inviata speciale del TG1, Maria Grazia Mazzola. Considerati i reati contestati sarebbero stati in rito ordinario quattro anni e sei mesi. 

Viene confermata la contestazione delle lesioni, con aggravante mafiosa e minacce di morte nei confronti della giornalista.

Nel ricostruire i fatti avvenuti tre anni fa a Bari, mentre la giornalista Rai stava svolgendo un’inchiesta sulla crescente militarizzazione del quartiere Libertà da parte dei clan che affiliano i minorenni, la pm Giorgio ha evidenziato le caratteristiche del metodo mafioso: la gratuità dell’aggressione con il pugno incassato dall’inviata speciale del TG1, la platealità della condotta della Laera, la prepotenza e la minaccia finale che denota il controllo mafioso del territorio: «non venire più qui che ti uccido». Nella memoria dell’avvocata Malavenda per conto Rai e della Mazzola, l’aggressione mafiosa è paragonata a quella subita nel 2017 dal giornalista Daniele Piervincenzi per mano di Roberto Spada, fratello del boss, mentre svolgeva un’intervista ad Ostia (Roma). Nella relazione medico legale della giornalista, la dott.ssa Caprioli scrive che Mazzola ha riportato «microfratture trabecolari ed edema della spongiosa a carico del margine esterno del condilo mandibolare sinistro con ispessimento dei tessuti molli periarticolari, un quadro di lesioni permanenti per il gancio da pugile sferrato da Laera».

L’aggressione violenta ai danni della Mazzola – sminuita dai legali della Laera come «un litigio tra donne» – fu l’esercizio del potere mafioso di controllo del territorio, esercitato in maniera plateale, perché tutti vedessero. Antonio Feroleto, legale di parte civile per Stampa Romana, ha infatti sottolineato l’esemplarità del gesto di Monica Laera, componente di primissimo piano del clan Strisciuglio Caldarola: si trattò di una minaccia violenta dimostrativa per intimidire tutti i giornalisti che investigano, “colpirne una per educarne cento”.

Il giudice ha rinviato l’udienza al 15 aprile per ascoltare il secondo legale dell’imputata Laera ed emettere la sentenza.

«Stampa Romana – ha dichiarato Lazzaro Pappagallo, segretario di Associazione Stampa Romana – continuerà a chiedere giustizia e verità per Maria Grazia Mazzola, come in questi tre anni, consapevole quanto sia fondamentale ribadire sul piano nazionale che i giornalisti nell’esercizio di un ruolo costituzionalmente riconosciuto, non si toccano: l’intimidazione, le minacce e le aggressioni fisiche sono un attentato alla democrazia».

«L’aggressione mafiosa che ho subito dalla boss Laera del clan Strisciuglio di Bari – ha commentato la giornalista Maria Grazia Mazzola – è una battaglia sulla libertà e indipendenza del giornalismo costituzionale nazionale. Non è una questione personale ma riguarda l’affermazione della legittimità del porre domande sul suolo pubblico anche quando e soprattutto si è in territorio controllato dai clan. L’affermazione della giustizia e della certezza della pena sono centrali. Purtroppo a Bari parte dell’informazione continua a non pubblicare che Laera è una condannata definitiva per mafia. Certa parte dell’informazione trascrive ancora meri “verbalini”. Ma non esistono circostanze giustificative all’aggressione fisica violenta né per le mafie né per i femminicidi. Bisogna rendersi consapevoli dei fatti accaduti».