ipsia-lipa2021_01_31_dsc6147-696x465

L’impegno delle chiese evangeliche italiane in Bosnia

Una nuova “frontiera” per il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei): la Bosnia. Sono arrivati in queste ore a Bihac i due operatori della Fcei Claudia Vitali e Niccolò Parigini, che nei prossimi tre mesi lavoreranno insieme a Ipsia-Acli, grazie a un accordo sancito tra le chiese protestanti e l’organizzazione che opera lungo la rotta migratoria dei Balcani occidentali a partire dal 2015.

L’intervento della Fcei, realizzato grazie al sostegno dell’Otto per mille delle chiese metodiste e valdesi, prevede in particolare l’avvio di una nuova tenda-capannone riscaldata polifunzionale che avrà la funzione di uno spazio per la socializzazione. Saranno inoltre realizzate cucine collettive per permettere ai migranti la preparazione autonoma dei pasti. Si prevede inoltre il sostegno alle attività della Croce Rossa di Bihac, in particolare per la gestione dei magazzini, la distribuzione di beni e cibo.

«La scelta di impegnarci anche in un punto della rotta balcanica verso i Paesi Ue – dichiara Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – è scaturita da una crisi umanitaria evidente a tutti ma accolta con indifferenza anche dalle istituzioni europee, che non sembrano cogliere la drammaticità delle condizioni di vita di centinaia di persone – tra loro molte donne e molti bambini – letteralmente intrappolati in un paese che non li accoglie e nel quale non intendono restare. Andiamo in Bosnia per dare un contributo concreto all’ottimo lavoro che da anni svolge Ipsia-Acli d’intesa con la Croce Rossa locale. Ma a questo impegno si accompagna anche una precisa richiesta politica al Governo italiano appena insediato e alle istituzioni europee: la drammatica situazione dei profughi in Bosnia impone l’apertura di un corridoio umanitario d’emergenza che garantisca protezione e sicurezza almeno ai soggetti più vulnerabili. La nostra esperienza quinquennale di corridoi umanitari dimostra che esiste un’alternativa ai viaggi della morte, sia per mare che attraverso le montagne. Per questo, con questo nuovo impegno in Bosnia cercheremo di capire in che modo l’esperienza virtuosa dei corridoi umanitari dal Libano possa essere  applicata anche per altri profughi e lungo altre frontiere».

«Ipsia è onorata di questa collaborazione con la Fcei – dichiara Mauro Montalbetti, presidente di Ipsia-Acli – che si inserisce in un lavoro che portiamo avanti sin dall’inizio della crisi migratoria nell’area balcanica, quando, nel 2015, in seguito dell’aggravarsi del conflitto in Siria, in Kurdistan e in Afghanistan, cominciarono ad affluire centinaia di migliaia di persone provenienti da questi paesi, risalendo la penisola Balcanica dalla Grecia per poi raggiungere i paesi del centro Europa. Dopo la chiusura delle frontiere europee nel marzo 2016, migliaia di persone si sono trovate bloccate prima in Grecia e Serbia e successivamente in Bosnia Erzegovina, dove la presenza in campi formali e informali si è concentrata soprattutto nel nord del paese, al confine con la Croazia, dove si stima una presenza di circa 3500 persone. In stretta collaborazione con la Croce Rossa locale, abbiamo attivato programmi di emergenza, destinati a queste persone, queste famiglie in transito o in sosta, alle quali abbiamo cercato di dar loro un ristoro, uno spazio di dignità, di socialità e umanità. Grazie a questo intervento, saremo in grado di implementare interventi  più strutturati come lo spazio polifunzionale riscaldato e le cucine collettive, oltre al proseguimento degli interventi di prima accoglienza e soccorso. E’ un impegno non scontato, vista la pandemia in atto, destinare mezzi e risorse per esprimere e concretizzare una solidarietà internazionale. Ma era ed è nostro dovere e continueremo a farlo».

Per maggiori informazioni sul progetto Ipsia-Acli: https://sostieni.ipsia-acli.it/crowd/balkan-route/

 
Foto di Ipsia-Acli