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Fototessere 16: la “tribù”, privilegio e impegno

Prosegue la serie di incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma e che ha visto finora i ritratti di Maria Paola RimoldiAnnapaola CarbonattoMatteo FerrariFulvio FerrarioGabriella CaramoreVito TamboneAndrea DemartiniMarco Cassuto MorselliShangli XuGiorgio TournFra Lorenzo Ranieri e Alba CordaroAdelina BartolomeiPierluigi Mele e le “Sorelle senza nome“: uomini e donne che hanno dei ruoli conosciuti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non avendo incarichi conosciuti ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi. Oggi è il turno del predicatore locale valdese Claudio Tron. Buona lettura!

Claudio Tron è nato a Massello nel 1941. Sposato con Milena Grill, ha due figli. Nella scuola ha fatto per sette anni il maestro, per dieci anni ha insegnato lettere nella suola media e per quindici anni ha ricoperto il ruolo di preside. Nella chiesa ha svolto il servizio di predicatore locale. Dopo la pensione dalla scuola è stato assunto in servizio pastorale temporaneo, che ha svolto nelle chiese valdesi di Villasecca, Rodoretto e, per incarico dei rispettivi Circuiti, successivamente a Prali e Villar Perosa. Vive a Massello, in val Germanasca, e continua a svolgere come passatempo l’attività agricola.

– Lei appartiene a una famiglia Tron, di Massello, nelle alte valli valdesi. Il suo è un cognome valdese storico. Lei sa a quale secolo risale?

«Secondo Osvaldo Coïsson (I nomi di famiglia delle Valli Valdesi), il cognome è presente a Massello dal XVI secolo. Oggi si trova tra famiglie valdesi a Massello, Salza e Rodoretto. Tra famiglie cattoliche lo si trova soprattutto a San Martino e Bovile di Perrero, nonché nella val Chisone da Perosa in su. Nella storia valdese si ricorda soprattutto il capitano Filippo Tron Poulat che guidò la fuga dei valdesi dal Castello di Balsiglia nel maggio del 1690, e che li salvò dall’accerchiamento francese».

– Lei potrebbe dire parafrasando l’apostolo Paolo (Filippesi 3, 5) di essere «valdese figlio di valdesi, della tribù di Valdo» fin da tempi remoti. Questa appartenenza più volta secolare che cosa significa per lei?

«Un privilegio e un impegno e, come per l’apostolo Paolo, la disponibilità a cambiare e a “farsi tutto a tutti”».

– Lei è sempre vissuto alle valli valdesi. Come vede il loro prossimo futuro?

«Il mio vicino di casa, bar Palmari, ultranovantenne, quando vedeva che tutti scendevano a valle e abbandonavano le terre, diceva spesso: “Mi piacerebbe vedere come andrà a finire questa: non si mangiano mica né il talco né le macchine”. Un piccolo ritorno dei contadini è presente già oggi, ma certamente ci vorrebbero azioni di sostegno da parte degli Enti pubblici affinché questo potesse estendersi e quelli già tornati non si scoraggiassero. La cura del territorio è importante da un punto di vista ecologico».

– Lei ritiene che le valli valdesi abbiano un significato speciale per i Valdesi e per l’evangelismo italiano, oppure no?

«Una realtà è significativa nella misura in cui le è dato. In questo senso le nostre discipline sono molto chiare: “Le chiese che da secoli remoti e attraverso numerose persecuzioni Dio, nella sua grande misericordia, ha conservato nella fede alla sua Parola in alcune valli delle Alpi occidentali…”. Il significato speciale può essere solo chiesto a Dio in preghiera.

– Lei è stato insegnante (oltre che preside) tutta la vita. Lutero sosteneva che quello del maestro (o maestra) è il più bel mestiere del mondo, insieme a quello di predicatore evangelico. Lei è d’accordo?

«Senz’altro. Sono io il responsabile del titolo: Sussidiario evangelico al volume che presenta il minimo culturale indispensabile per svolgere un ministero di anziano o predicatore locale, che abbiamo scritto Gregorio Plescan, Bruno Rostagno e io*. Il sussidiario era lo strumento minimo dei maestri di scuola fino a tempi recenti».

– Lei è stato anche, ed è tuttora, “pastore locale” (pastori lo si è per tutta la vita). L’aggettivo “locale” ha un significato geografico, ma nulla di più. È d’accordo?

«L’aggettivo “locale” aggiunto al ministero pastorale senza vincoli amministrativi con la Tavola valdese e ai predicatori significa solo che la Tavola stessa non li può trasferire, perché, di solito, hanno vincoli professionali che non possono abbandonare».

– Lei ha pubblicato due importanti volumi con scritti di Giovanni Miegge e un suo saggio su questo pastore-teologo, diciamo così, “fuori serie”. Qual è secondo lei il lascito più importante di Miegge?

«Un impegno. Io sono abbastanza arrabbiato perché non siamo stati capaci di continuare l’opera da lui iniziata con il Nuovo Testamento annotato [4 volumi usciti per l’editrice Claudiana tra il 1965 e il 1975, ndr] facendo anche l’Antico Testamento e quella del Dizionario biblico [ed. Claudiana, 1957, verrà ristampato in coedizione Claudiana/Feltrinelli nel 1967, ndr] facendo il Dizionario teologico. Avevamo iniziato bene il lavoro: anche lei aveva già scritto, se non erro, alcune voci; poi, chissà perché, la Claudiana ha abbandonato il progetto».

– Nel 1951 usciva il libro di Miegge Per una fede. Qual è oggi il valore di quel libro?

«Grazie a Per una fede io sono rimasto sostanzialmente senza vergognarmi “homo unius libri”. Mi sembra che una sintesi più chiara, sintetica e, al tempo stesso sostanziosa, della teologia evangelica non sia stata scritta a tutt’oggi da altri».

– So che lei partecipa ogni anno alle celebrazioni della Resistenza partigiana. Perché?

«Da quando mi è stato chiesto di partecipare con una predicazione a queste celebrazioni mi sono sentito di farlo perché la predicazione alla piazza è fatta con la consapevolezza che la piazza non ce la facciamo noi come vorremmo, ma ci è data e questo non ci autorizza a rifiutare».

– So anche che c’è un episodio della storia della Resistenza alle Valli che le sta a cuore. Ce lo racconti.

«Più che un episodio, mi starebbe a cuore che si ricordassero nelle celebrazioni non solo i personaggi importanti, ma anche le persone semplici che hanno dato la vita. Nel caso di Massello sono poco ricordati i due partigiani, giovani contadini, Rinaldo Tron e Guido Giraud, morti a Balsiglia, per i quali c’è solo una piccola targa affissa all’edificio del Museo, sulla quale non è indicata nemmeno la data della morte».

– Come vede, dal suo osservatorio valligiano, la situazione ecumenica in Italia? Progredisce o è ferma, o regredisce?

«Penso che sia molto diversificata e in movimento. Le difficoltà incontrate dalla perorazione per l’“ospitalità eucaristica” – che condivido – sono un indice significativo. Non penso che si possa ancora parlare di unità nella diversità, ma semplicemente di fraternità nella diversità. Ma non è poco».

– Lei continua a predicare. Ne deduco che è convinto che ne valga la pena. Perché?

«Perché non ci è lecito sottrarci a un impegno richiesto quando abbiamo la possibilità di rispondere positivamente».

– Se lei fosse papa e potesse parlare alla Chiesa e all’umanità, che cosa direbbe?

«Non mi sono mai posto questa domanda, che giudico un po’ sbarazzina; tuttavia nell’ipotesi impossibile che la cosa accadesse, proclamerei immediatamente ex cathedra che il papato è abolito e che, quindi, sono immediatamente decaduto; per conseguenza la chiesa è semplicemente ekklesía, assemblea chiamata a raccolta dalla grazia, sinodo, concilio, corpo dalle varie membra, chiamato a “crescere in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (Efesini 4, 15)».

* Sussidiario evangelico. Bibbia – Storia – Ordinamento – Attualità. Perosa Argentina, LAREditore, 2018.