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Una nave inclusiva

2,5 milioni di euro è la cifra complessiva necessaria per acquistare e armare una nave per un anno di missione di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, il mare nostrum diventato cimitero di troppe vite. Perché di navi purtroppo non ce ne sono abbastanza a soccorrere le carrette del mare strabordanti corpi.

Al momento oltre 850 soci, 3041 donatori, 39 associazioni coinvolte, quasi 400 mila euro raccolti e la bella notizia della partecipazione al progetto dell’Unione Buddista Italiana con una donazione da 100 mila euro.

Questa è oggi ResQ, l’associazione nata circa un anno fa, appena prima che la pandemia arrivasse a sconvolgere il mondo come lo conoscevamo fino a quel giorno.

Il progetto nasce da un piccolo gruppo di amici, professionisti di varia natura che, stanchi di vedere morire migliaia di migranti nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo hanno deciso di rompere il muro dell’indifferenza e provare a mettersi in gioco e a farlo nella maniera più concreta possibile. Allestendo una nave per il soccorso.

Il magistrato Gherardo Colombo e il giornalista di Famiglia Cristiana Luciano Scalettari sono rispettivamente presidente onorario e presidente di ResQ.

Ma chi ve l’ha fatto fare?

Colombo: «Quando mi è stato raccontato il progetto che stava nascendo e mi è stato proposto questo ruolo, ho pensato che se io stessi per annegare vorrei che qualcuno venisse a salvarmi. Tutto qui, senza tanti fronzoli. È stato automatico dunque dare la mia adesione e tutto ciò si incontra alla perfezione con quanto previsto dalla nostra Costituzione, all’articolo 2 “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” e ancor di più all’articolo 10, “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Non mi importa da dove viene, chi è e come è arrivato lì: se una persona sta per annegare la si salva punto e basta».

Scalettari: «Una motivazione deriva dal lavoro di giornalista: dal 1994 seguo l’Africa e di conseguenza mi sono trovato per tanti anni a decentrare necessariamente lo sguardo, a cercare di guardare le cose da sud. Così il mestiere mi ha portato a assistere a questo stillicidio di vite umane, a vedere il Mediterraneo diventare un cimitero e non più un corridoio di contatto fra culture diverse, e a conoscere necessariamente un po’ le storie di queste persone, che non lascerebbero le proprie terre e gli affetti se non vi fossero stringenti e inevitabili motivazioni per partire. C’è poi l’atteggiamento europeo volto a cercare di fare barriere in tutti i modi, divenute anche moralmente inaccettabili quando si concretizzano nelle varie forme di respingimento, via mare o via terra. L’indignazione è dunque il motore primario. Nasce tutto da 2 amici poi diventati 4 poi 8, 16. Persone che via via diventano amiche in virtù del fatto che c’è questo obiettivo comune: ora i soci sono più di 800. Poi ci sono motivazioni di fede che attengono alle scelte di vita personali. C’è un principio che forse ci accomuna tutti ed è quello che recita il Talmud: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Le figure dei Giusti, che hanno scelto il bene in momenti in cui sarebbe stato molto più comodo fare altro, mi hanno sempre profondamente affascinato e sono uno stimolo per tutte e tutti noi».

A che punto siamo?

Colombo «Direi che stiamo andando bene, ci stiamo muovendo per farci conoscere e nel frattempo vedo che oltre a essere molte le persone associate, sono tante le persone che all’interno di ResQ lavorano tanto, tantissimo, tutti volontari, per far andare il progetto avanti, per cui sono molto fiducioso».

Scalettari: «La pandemia ha costretto a rivedere completamente i programmi: a fine luglio 2020 è stato presentato al pubblico il progetto, da ottobre è partita la raccolta fondi. Sappiamo che stiamo surrogando un intervento che dovrebbero fare le istituzioni civili, che non lo fanno, per cui proviamo a farlo noi. A dicembre un primo grande evento on line con 9 ore di maratona sul web per raccogliere fondi ha avuto risultati straordinari, per cui abbiamo capito che nel nostro Paese c’è questa esigenza che sentiamo anche noi; è un’esigenza diffusa, non so quantificarla, ma c’è tanta gente che è attenta a cosa facciamo, risponde alle sollecitazioni. Ora siamo in grado di ragionare sull’affitto di una nave e poi stiamo vagliando ipotesi di acquisto. Dire quale sarà il fatidico giorno in cui toglieremo gli ormeggi è difficile proprio per le troppe incognite che la pandemia reca ancora con sé, ma ci piacerebbe farlo entro la fine della primavera».

Cosa è cambiato nella sensibilità della politica e in quella delle nostre società occidentali per arrivare a disinteressarsi in maniera tanto plateale di simili drammi, o per partorire norme tanto aberranti?

Colombo: «Vedo sempre più meccanismi di riproposizione di schemi terribili che hanno causato e causano gravi lutti e gravi danni e che ciclicamente si riverificano. Come se esistessero appunto dei cicli che ritornano, per dirla con Vico, o ancor più, per dirla con René Girard, pare di vedere questa necessità di andare verso la ricerca di un capro espiatorio. Il progressivo sfibrarsi dell’esperienza del male che era stata fatta porta ad andare a cercare tale esperienza per poi redimersi, in un modo quasi ciclico. Si perde progressivamente la memoria e si ritorna a cercare il male. Vero poi che intervengono variabili perché ci sono periodi in cui c’è chi cerca di fomentare l’odio ma il messaggio non viene ricevuto, e invece ci sono periodi in cui il fomentatore del male trova seguaci».

Scalettari: «Ho visto di recente una ricerca che fra vari aspetti andava anche a valutare una serie di affermazioni di tipo generale astratto rispetto allo straniero: “Ti fa paura lo straniero?” E poi la stessa domanda veniva rapportata al proprio territorio.  La percezione della paura in via astratta era oltre il 50%; quando si passava al proprio Comune scendeva al 10-15%; tutto l’aspetto propagandistico crea una percezione che poi non corrisponde all’episodio concreto rispetto allo straniero vicino a me. La badante dei miei genitori, il tecnico che ci fa il lavoro in casa, il negoziante, il collega, una volta che l’entità astratta “straniero” si concretizza nel quotidiano, la percezione della paura crolla. Chi si occupa di informazione dovrebbe assumersi anche il compito di far scoppiare questa bolla alimentata da comunicazione compulsiva, dai social media, dai talk show urlati invece che ragionati».

Un appello finale?

Colombo: «Cresciamo e questo è molto confortante, è molto bello poter fare rete, parlare di questo progetto. Direi che è una nave molto inclusiva, non solo per chi viene salvato ma anche per chi intende salvare. Stimolare l’uscita dall’indifferenza, porre questioni, è qualcosa che serve al nostro Paese e che evidentemente non ha colore, nè classe, ma accomuna chi vuole il bene».

Scalettari: «Resq in mare ci sarà, ma anche nell’ipotesi in cui non ce la facessimo questa esperienza è straordinaria proprio perché sta unendo persone, sta offrendo un fine a quel senso di vergogna che tanti provano nel vedere cosa accade nel nostro mare. Sta combattendo l’indifferenza direi».

Tutte le info e le modalità di donazioni si possono trovare sul sito ResQ – People Saving People.