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Il Vangelo secondo Jack Kerouac

Luca Miele si è lanciato in un’impresa ostica: cogliere l’inafferrabile Jack Kerouac e parlare della sua visione e del suo percorso spirituale in un libro.

Il testo, edito da Claudiana, è Il Vangelo secondo Jack Kerouac, l’autore è giornalista di Avvenire e già autore di altri libri: Oltre il confine. Miti e visioni d’America nelle canzoni di Bruce Springsteen, edito da Pardes nel 2006, Il Vangelo secondo Bruce Springsteen, Il Vangelo secondo il rock e Mio padre odiava il rock’n’roll.

Luca Miele scopre Bruce Springsteen quando ha quindici anni e subito si innamora di quei suoni e di quella poetica; il mito del viaggio, delle terre sconfinate tipiche di alcuni paesaggi americani lo conduce inevitabilmente a Sulla strada, a Jack Kerouac, altro colpo di fulmine.

Da adulto ha deciso di tornare ad affrontare il grande scrittore americano, capostipite della Beat generation, per rivedere la sua opera, restituendone una visione sinottica e affascinante.

Ne esce un libro che parla di un rapporto profondo, quello tra l’autore e il suo protagonista. Ma anche e soprattutto del rapporto profondo che Kerouac ha sempre avuto con Dio e con la fede.

Questo libro parla di una personalità e un lavoro letterario complesso. Com’è stato cercare di mettere Jack kerouac tra le righe e nelle pagine?

«È stata un’impresa perché imprigionare Kerouac in una narrazione lineare è difficile: si tratta di un personaggio folle, duplice, contraddittorio, molto combattuto e tormentato. Come scrivo nel libro Kerouac non è mai uno, è sempre doppio, cioè si smentisce e si contraddice. È un personaggio labirintico, quasi inafferrabile. Per cui ho cercato di combinare la scrittura saggistica a una scrittura un po’ più letteraria che è quella concentrata soprattutto nell’introduzione, in cui quasi immagino un faccia a faccia con Kerouac».

La parola che definisce il lavoro di Kerouac e che poi anche altri hanno seguito è beat. Che significa, al di là della traduzione letterale?

 È lo stesso Kerouac a spiegare l’origine di questa parola. Beat, dice, non significa stanco o abbattuto, significa beato. Lui cita proprio San Francesco e il termine “beato” in italiano. I beat sono coloro che aspirano e cercano una condizione di beatitudine. Tutta la produzione letteraria di Kerouac è una ricerca religiosa; “l’ansia di Dio” come la chiamo nel libro, attraversa tutta la sua opera. I beat sono quelli che cercano sulla strada l’incontro con Dio».

Jack Kerouac viene definito un mistico, cos’è che lo definisce tale?

«Questa definizione la dobbiamo ad Antonio Spadaro che lo scrisse alcuni anni fa, rileggendo l’opera di Kerouac.Un mistico è colui che ha un dialogo con diretto con Dio, che scavalca completamente la dimensione istituzionale della religione; è quello che cerca una fusione con Dio. Tutta la vicenda biografica e letteraria di Kerouac è contenuta dentro un’ oscillazione che è tipica di quella dei mistici, cioè quella di avvicinarsi a Dio eppure mancarlo sempre. Che è poi se vogliamo la vicenda di tutti».

Qual’è il percorso religioso di Kerouac?

«Lui è nato cattolico ed è morto cattolico. Ha abbracciato anche il buddismo nel corso della sua vita, lo è stato per alcuni anni per poi allontanarsene negli ultimi anni della sua vita. Però il lascito più originale del pensiero di Kerouac è stata la fusione tra i due credi. In diversi passi dei suoi libri, ad esempio in Visioni di Gerard, il Dio di cui parla è al tempo stesso cristiano e buddista. Non a caso lui usa indifferentemente i temi del paradiso  applicandolo a entrambe le religioni».

Qual’è la maggiore eredità che lascia Kerouac?

«Oggi io credo che sia il desiderio di libertà che lui declina nel desiderio del viaggio, nella ricerca sulla strada. La strada per lui è un’immagine del divino, qualcosa che non finisce mai, smisurato per definizione. Ma è anche un amore smisurato per la vita: lui scrive che la vita è sacra in ogni suo momento. Forse l’eredità più bella, e quella che io spero di vivere quotidianamente, è proprio questa».