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Venivano chiamate envoyées, inviate

Si celebra in questo 2021 l’anniversario dei 50 anni della Cevaa, Comunità Evangelica di Azione Apostolica – Comunità di chiese in missione, nata nel 1971 come naturale evoluzione del movimento missionario protestante dei secoli precedenti.

Un contributo di riflessione per ricordare questi 50 anni della fondazione si può trovare nel libro Partite dalle Valli Valdesi verso le rive dello Zambesi, scritto a sei mani da Marie-France Maurin, Lucilla Coïsson e Laura Nisbet.

Un racconto delle emozioni, aspirazioni, pensieri di donne che, da sole o in compagnia del marito, decisero di spendere una parte della loro vita al servizio del prossimo e partirono per luoghi lontani. Lo Zambesi è stata la regione dell’Africa Australe dove si sono succedute generazioni di missionari partiti dalle Valli Valdesi, dalla zona delle Cascate Vittoria proseguendo verso nord lungo il corso del fiume.

Venivano chiamate “envoyées”, cioè inviate. Come si ricorda nel libro: «Donne, animate da spirito di servizio, sotto la spinta della loro fede, hanno affrontato con coraggio la sfida di una vita completamente diversa da quella che conoscevano, per lanciarsi in un mondo altro, dove portare la “buona novella dell’evangelo” attraverso il loro impegno a favore di popolazioni in difficoltà».

Donne di cui rimangono alcune, poche e preziose, testimonianze.

Marie-France Maurin ci spiega la creazione del libro e potete ascoltare l’intervista in questo podcast,

Come nasce l’idea di questo libro?

«L’abbiamo pensato all’inizio del 2019, in un momento di sistemazione e catalogazione dell’archivio del gruppo Missioni Cevaa di Torre Pellice. Trovammo varie lettere e materiale che era stato ben custodito da Annalisa Coïsson, presidente per molti anni del gruppo, e ci siamo riproposte di utilizzare parte di questo materiale per un racconto».

Le protagoniste del libro sono le donne: non raccontate le loro biografie, bensì le emozioni e le aspirazioni di queste “envoyées”.

«Volevamo farle parlare, dare la parole alle donne che nella storia sovente sono dimenticate. Abbiamo trovato dei diari in cui scrissero le loro esperienze, abbiamo raccontato i loro sentimenti attraverso la loro stessa voce. Di solito erano donne che accompagnavano i loro mariti in missione, ma non sempre: abbiamo dato la parola a 11 donne, di cui quattro non sposate e che sono partite per contro proprio. Queste ultime erano chiamate demoiselles missionnaires, rimanevano in contatto con Parigi e abbiamo dei loro scritti, delle lettere o articoli mandati a giornali. Sulle mogli dei missionari, invece, è più difficile avere notizie: abbiamo poche testimonianze, qualche lettera a familiari».

Un lavoro di ricerca molto corposo. Come e dove avete raccolto il materiale?

«Ci siamo divisi i compiti. Laura Nisbet ha raccontato le sue esperienze personali in Africa e Lucilla Coïsson ha curato la sezione dedicata a sua nonna, Margherita Enrichetta Nisbet Coïsson. Per il resto abbiamo cercato negli archivi. Io sono andata a Parigi per consultare gli archivi del Defap (Dipartimento evangelico francese di azione apostolica) e nell’archivio della Società di Studi Valdesi di Torre Pellice abbiamo trovato le lettere di Emma Pons Jalla, che mandava alla sua amica Amalia Micol, moglie del pastore del Serre di Angrogna».

La missione era una scelta coraggiosa, “un’avventura umana, scelta, delle più incredibili”.
«Non era semplice e sapevano che avrebbero avuto una vita difficile, ma si erano preparate. Il clima era terribile, la natura pericolosa. Molto spesso dovevano rimandare i propri figli in Italia, per evitare che patissero troppo i danni del clima e perché potessero avere un percorso scolastico. In diverse loro lettere raccontano le loro lacrime, la loro tristezza nella separazione, i momenti di difficoltà. Le donne portavano avanti impegni con le donne, giovani ed anziane, gestivano o aiutavano nella scuola. Si occupavano spesso anche dei dispensari medici: non avendo ospedali vicini, creavano delle dispense nelle stazioni missionarie, facevano anche le infermiere e si preparavano sul lato medico per poter curare e dare una mano».

Sono presenti anche delle fotografie, più o meno recenti.

«Abbiamo cercato delle immagini del lavoro di queste 11 donne, qualche fotografia anche per contestualizzare sia il luogo di partenza, cioè le Valli Valdesi, che il luogo d’arrivo, lo Zambesi. Una panoramica dall’800 ai tempi attuali della Cevaa. L’ultima parte del libro è in effetti dedicata ad uno sguardo più attuale della fondazione. Una volta i missionari partivano dal nord, dall’Europa, per andare verso il Sud del mondo, ma ora il concetto è del tutto diverso e tempi e situazioni sono cambiati. La Cevaa opera con uno scambio reciproco partout vers partout, da ogni luogo verso ogni luogo».

Il libro è dedicato ai vostri nipotini/e e a tutti i bambini “affinché, diventati adulti, moltiplichino le ricchezze imparate dalla storia umana”. Che significato ha questa dedica?

«L’impegno nel mondo continua. Abbiamo degli esempi di persone che hanno lasciato la loro vita per occuparsi di altri. La speranza è che questo impegno di solidarietà e evangelizzazione possa continuare».

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