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Gli Stati Uniti fra l’eredità razzista e le battaglie di Martin Luther King

È uscito in questi giorni, edito da Laterza, “Martin Luther King. Una storia americana“, scritto da Paolo Naso, docente di Scienza politica e coordinatore di Mediterranean Hope, il programma rifugiati della Fcei, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

Il libro esce in un momento cruciale della vita politica americana: nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio erano visibili, dietro ai cartelli dei sostenitori di Donald Trump, le bandiere confederate, simbolo di un’America che ancora oggi deve fare i conti con il suo peccato originale: il razzismo. A 52 anni dall’uccisione di M. L. King, pastore battista che lottò contro la segregazione razziale e per i diritti civili degli afroamericani, che ne è della sua eredità? Ne abbiamo parlato con il professor Valdo Spini, già onorevole e ministro dell’Ambiente, attualmente presidente del Coordinamento delle riviste italiane di cultura (Cric).

«Quando nel 2009 è stato eletto Barack Obama, primo presidente degli Usa afroamericano, sembrava che la fase di confronto interraziale fosse in qualche modo conclusa. Invece il fuoco covava sotto la cenere, e questo spiega in parte il successo elettorale di Trump conseguito negli Stati caratterizzati da una classe operaia bianca che si sentiva emarginata dalla globalizzazione, che perdeva il lavoro, incalzata dall’ondata di immigrazione. Anzi, con realismo possiamo dire che se l’ex presidente non avesse condotto con sregolatezza e miopia la battaglia contro la pandemia, che oggi in America è a livelli gravissimi, probabilmente sarebbe stato rieletto. Prendo atto con molto piacere che Biden parte forte: i primi provvedimenti – la lotta al Covid, la revoca del divieto di ingresso negli Usa ai cittadini di alcuni paesi musulmani, il rientro negli accordi di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico, la difesa contro le espulsioni di quegli immigrati clandestini che arrivarono negli Stati Uniti da bambini, i cosiddetti dreamers – mettono in chiaro le priorità della nuova amministrazione.

Dunque, direi che c’è un filo rosso che ci riporta alla vicenda del leader della nonviolenza M. L. King. Biden ha il compito non facile di ricucire una situazione che era andata fuori controllo: da un lato, venendo incontro alle aspettative delle classi svantaggiate e discriminate per il colore della pelle, e dall’altro, creando un meccanismo economico che lo riconcili almeno con una parte dell’elettorato bianco, che in questi anni ha abbandonato il partito democratico».

– Quale ruolo possono giocare le chiese in questa nuova fase?

«Il fatto che Raphael Warnock – pastore battista che ha trascorso gli ultimi 15 anni alla guida della Ebenezer Church di Atlanta, dove predicava proprio Martin Luther King Jr. – abbia vinto il ballottaggio e sia stato eletto senatore nello stato della Georgia, la dice lunga sul fatto che le chiese, se lo vogliono, possono avere un grande ruolo. Biden è cattolico, e credo che sia molto in sintonia con la politica attuale di Papa Francesco a favore dei poveri, dei rifugiati, degli emarginati. Meno si sa in Italia che la vicepresidente degli Usa, Kamala Harris, è battista.

Credo che le due principali confessioni cristiane in America, incarnate in Biden e nella Harris, possano trovare una convergenza, e giocare un ruolo di grande rilievo, anche sul piano dei valori morali e culturali».

– Prima l’assalto a Capitol Hill, poi le misure straordinarie di sicurezza non solo a Washington ma in tutti i cinquanta Stati messe in atto in occasione del giuramento del neopresidente americano… La democrazia degli Usa è minacciata?

«Penso che la democrazia americana sia più solida di quanto non sembri. Credo che si sia aperta una importante, seppure difficile, finestra di opportunità nel mondo cosiddetto occidentale. La vittoria di Biden in America, e la formazione in Europa della maggioranza Ursula, cioè la commissione guidata da forze di centrosinistra che hanno rilanciato l’europeismo, sono due eventi potenzialmente positivi: speriamo che Stati Uniti e Europa collaborino, e che questo rafforzi reciprocamen-te le forze della democrazia. Questa è una grande occasione, e anche le confessioni cristiane, attraverso le loro relazioni transatlantiche, possono fare molto».

– Nel suo ultimo libro, Paolo Naso evidenzia che negli ultimi anni della sua vita M. L. King, denunciando la povertà e la guerra in Vietnam, inserì la questione razziale in un’agenda più ampia di cambiamento della struttura economica e sociale degli Usa. Probabilmente fu la dura critica del pastore battista contro il “sistema” americano nel suo complesso a decretarne l’assassinio. Quanto è attuale questa denuncia?

«Il movimento Black lives matter ha denunciato le contraddizioni della presidenza Trump, sostenuta apertamente da gruppi di suprematisti bianchi, e ha manifestato contro la terribile crudeltà e violenza esercitata dagli agenti di polizia nei confronti di persone afroamericane del tutto innocenti o colpevoli di lievi reati. Il razzismo è indubbiamente connesso al tema della povertà, che è a sua volta legato al tema della sicurezza: affrontare questo nodo sarà senz’altro tra le priorità dell’amministrazione Biden-Harris. Credo sia stato felice da parte di Paolo Naso scrivere questo libro che, mettendo in evidenza il filo che collega le battaglie per i diritti civili ingaggiate cinquant’anni fa con quelle che vengono combattute oggi, risulta di grande attualità, e ci restituisce il ritratto di un King non irenico, “caramellato”, ma di uomo di fede, anche con le sue ombre, che ha reso grande testimonianza ai valori cristiani della nonviolenza, della libertà e della giustizia. Esempio ancora oggi valido per tutti noi».