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In attesa della consolazione

Il Signore mi ha unto, per consolare tutti quelli che sono afflitti
Isaia 61, 1. 2

Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati
Matteo 5, 4

Sto scrivendo queste righe in un ben strano, silenzioso Capodanno: questa notte, all’improvviso, una violenta salva di fuochi d’artificio, e poi un silenzio innaturale, che dura ancora. Le feste mettono crudelmente gli umani di fronte al proprio vuoto, in ogni modo ci dedichiamo a tutto quello che può riempirlo, può farci sfuggire almeno per un momento alla sua pericolosa attrazione, ma oggi fare festa non si può, e in certi casi, nemmeno si vuole. Io sono tra quelli che non vogliono. Posso ritenermi in qualche maniera una persona fortunata, ho avuto una vita complicata, ma mi sono stati risparmiati, almeno per ora, i grandi strazi che mettono l’anima a nudo di fronte alle proprie forze. Ma oggi non voglio fare festa.

In questo anno, ognuno di noi ha perso qualche cosa: alcuni il lavoro, altri delle occasioni, altri ancora la vita, i più fortunati, dato che altro non era possibile fare per non passare dritti dal dramma alla sciagura, “solo” la libertà. Io ho perso un amico, uno dei più cari. È sparito un po’ alla volta, impercettibilmente: un giorno parlavamo di piccoli progetti, il giorno dopo non stava granché bene, quello ancora dopo in ospedale, in terapia intensiva, intubato, morto. Ai suoi funerali, una folla, non io. Era una persona veramente amata, e amabile, ha ispirato molti, e molti, tra cui me, si sono spesso appoggiati a lui. Ma non potevo, davvero non potevo, per onorare un morto per Covid, contribuire a spargere un contagio. Sembra una presa in giro, no? Ho provato giorni di rabbia, mi sono sentito derubato di quel saluto. Io sono qui, e aspetto la consolazione, per me e per lui.