img_20180114_124535-4

Dalla Francia storie di migranti

11 persone sono state soccorse dai vigili del fuoco nella notte fra l’ 11 e il 12 gennaio  nel gelo del confine italo-francese del Monginevro, in Piemonte, in alta valle di Susa. «In questa circostanza sono stati accolti e non respinti, come invece è prassi qui, data l’estrema precarietà delle loro condizioni e grazie soprattutto al fatto che i primi ad imbattersi in loro siano stati i vigili del fuoco e non altre forze dell’ordine» sottolineano in un comunicato i referenti dell’associazione umanitaria “Tous Migrants” (Tutti Migranti).

Ai gruppi di volontari che battono le montagne al fine di prestare soccorso a chi si trova a marciare per zone pericolose e a loro sconosciute viene impedito di intervenire per dare rifugio e queste persone sono soggette a ripetute multe per motivi del tutto arbitrari e citazioni per «aiuto all’ingresso di stranieri in situazione irregolare» , un crimine creato dal governo Daladier il 2 maggio 1938 ed ancora in  vigore oggi parola per parola. «Questi respingimenti, così come la cronica insufficienza delle strutture di accoglienza che condannano migliaia di richiedenti asilo alle strade e alle espulsioni, sono scelte politiche volte a scoraggiare le persone in esilio dal trovare rifugio in Europa – prosegue il comunicato di Tous Migrants- . Ma a quanto pare poche migliaia di persone sono ancora troppe, quindi il governo transalpino sta di nuovo intensificando le attività di pattugliamento. Sono stati installati persino mezzi blindati e soldati con il pretesto della presenza fra le persone migranti di possibili terroristi che, se esistessero, verrebbero dunque rimandati in Italia. La Francia ha obblighi internazionali, e in particolare l’obbligo di vagliare le richieste di asilo».

Intanto il mese scorso, la corte d’appello del tribunale amministrativo di Bordeaux ha riconosciuto lo status di “straniero malato” a un bengalese affetto da malattie respiratorie, tenuto conto dell’inquinamento atmosferico nel suo paese di origine. La decisione è stata la prima in Francia dove Sheel, il nome è di fantasia, vive da quasi un decennio. 

Affetto da malattie respiratorie, ha ottenuto il suo primo “permesso di soggiorno per stranieri malati” nel 2015. Il quarantenne di Tolosa soffre di una forma di asma grave che necessita di cure, così come di una grave apnea notturna che gli richiede di dormire con assistenza respiratoria. Nonostante il suo fragile stato di salute, nel giugno 2019 gli è stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno e ha rischiato l’espulsione, poiché la prefettura ha ritenuto che potesse ottenere cure adeguate in Bangladesh. Anche la sua richiesta di ricongiungimento familiare con la moglie, rimasta nel Paese, è stata respinta.

Un anno dopo, il tribunale amministrativo ha annullato l’ordinanza del prefetto, sostenendo che mentre in Bangladesh sono disponibili per la vendita farmaci per alleviare gli attacchi d’asma, non esiste un trattamento sostanziale e sistematico. Ma il prefetto non si è fermato qui e ha portato il caso alla Corte d’Appello di Bordeaux, che il 18 dicembre 2020 ha confermato la prima sentenza e ha persino aggiunto un fattore di rilievo inedito in Francia: quello dell’inquinamento atmosferico in Bangladesh.

«Questa è la prima volta in Francia che un tribunale prende in considerazione il criterio ambientale per giustificare una persona che beneficia dello status di straniero malato», ha detto a InfoMigrants Ludovic Rivière, avvocato di Sheel. «Poiché è ovvio che le condizioni ambientali oggi in Bangladesh permettono di affermare che sarebbe illusorio che il mio cliente venisse curato lì, equivarrebbe a mandarlo a morte certa». A Dhaka, capitale del Bangladesh, il livello di polveri sottili nell’aria è infatti sei volte superiore a quello consentito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Secondo i dati dell’Oms del 2016, circa 572.600 decessi in Bangladesh sono attribuibili a malattie non trasmissibili, l’82% delle quali è dovuto all’esposizione all’inquinamento atmosferico interno. Il Bangladesh è anche al 178 °posto nell’Indice di prestazione ambientale, stabilito dai ricercatori delle università di Yale e Columbia per valutare la “qualità” dell’aria globale, classificandolo tra i paesi più inquinati del mondo.

Oltre ai pericoli dell’inquinamento atmosferico, il tribunale francese ha anche riconosciuto che le interruzioni di corrente giornaliere e le alte temperature in Bangladesh non consentivano l’uso del dispositivo di ventilazione notturna di cui Sheel necessita. «Proprio come un malato di Aids non può essere rimandato in un paese dove non può essere curato o un condannato a morte in uno Stato che pratica la pena capitale, Sheel non può essere deportato in Bangladesh. Siamo ancora molto lontani dall’aver creato un precedente e  poter vedere così nascere un vero status di rifugiato climatico in Francia “, ha detto Rivière, che ora spera che il governo e i tribunali considerino la questione del clima in modo più sistematico.

«I migranti climatici saranno sempre più numerosi e i politici non avranno altra scelta che affrontare il tema rapidamente». Anche François Gemenne, insegnante e specialista in migrazioni legate all’ambiente, vede un «passo nella giusta direzione» ma dubita che la decisione della Corte d’appello di Bordeaux verrà replicata. «Tra i richiedenti protezione, ci sono molte vittime del degrado ambientale, che gioca un ruolo reale nelle cause della partenza, ma molto raramente viene invocato alle autorità, semplicemente perché non è quasi mai ammissibile e i ricorrenti lo sanno bene», ha detto il ricercatore a InfoMigrants. Secondo Gemenne, mentre il caso Sheel non ha precedenti, i criteri ambientali sono occasionalmente presi in considerazione dal sistema giudiziario francese. «Si tratta di decisioni molto sporadiche, ogni due o tre anni. Ci sono già stati diversi casi in cui le persone non hanno potuto essere deportate nella loro regione di origine perché troppo esposte a calamità naturali. Dovrebbe essere possibile costruire un precedente da tutti questi casi, ma l’attuale clima politico non è favorevole all’ampliamento dei criteri per ottenere asilo».

Tuttavia, Gemenme ha affermato che uno strumento esistente potrebbe consentire di cambiare la situazione. L’Agenda Nansen, ratificata da 110 paesi tra cui la Francia nel 2015, ha il potenziale per definire chiari criteri di protezione per i rifugiati climatici, ma non è vincolante. La Francia, che fino a dicembre 2020 era a capo della presidenza di turno della Piattaforma sugli sfollamenti dovuti a catastrofi, non ha annunciato alcuna misura concreta al riguardo.

Da un punto di vista formale, l‘espressione “rifugiato climatico” è impropria poiché non si fonda su nessuna norma presente nel diritto internazionale. Non riflette, inoltre, la complessità con cui il clima e la mobilità umana interagiscono tra loro in un articolato rapporto di cause ed effetti.

Il “rifugiato climatico” non è riconducibile alla definizione della Convenzione sui rifugiati di Ginevra (1951), che lo individua come qualcuno che ha attraversato una frontiera internazionale «a causa del fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica».

Secondo l’Unhcr «le regioni in via di sviluppo, che sono tra le più vulnerabili dal punto di vista climatico, ospitano l’84% dei rifugiati del mondo. Gli eventi meteorologici estremi e i pericoli in queste regioni che ospitano i rifugiati stanno sconvolgendo la loro vita, esacerbando i loro bisogni umanitari e perfino costringendoli a fuggire di nuovo».