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La «dottora» dei poveri

«Mi auguro, per il trionfo della causa del mio sesso, solo un po’ più di solidarietà fra le donne. Allora, forse, si avvererà la profezia del più grande scrittore del nostro secolo – Victor Hugo – che presagì alla donna quello che Gladstone presagì all’operaio: che cioè il secolo XX sarà il secolo della donna».

Passionale nella vita privata e nell’azione politica, legata a Filippo Turati da un lungo sodalizio affettivo e politico, Anna Kuliscioff (una delle prime donne laureate in medicina in Italia) dedicò la sua intera vita alla lotta per l’emancipazione delle classi oppresse e delle donne.

Morì a Milano il 29 dicembre del 1925 e durante il suo funerale avvenuto in pieno centro alcuni fascisti decisero di scagliarsi contro le carrozze del corteo funebre strappandone i drappi e calpestandone le corone.

L’intensa storia di Anna Kuliscioff è contenuta (per citarne solo uno tra i numerosi a lei dedicati) in un bel volume edito da Mondadori (ancora disponibile sulle piattaforme web librarie, anche se usato perché uscito nel 1993) scritto da Marina Addis Saba: Anna Kuliscioff – Vita privata e passione politica.

L’esperienza di Kuliscioff è stata raccontata e sviscerata da un’altra intellettuale.

Saba, infatti, si è sempre impegnata nel movimento Femminista e specializzata in storia delle donne in particolar modo dedicando le sue attenzioni al tema: donne e fascismo e donne nella resistenza. Docente di Storia dell’Europa e di Storia contemporanea presso l’Università di Sassari ha pubblicato libri importanti, tra i quali: Partigiane – le donne della resistenza; La scelta – ragazze partigiane, ragazze di Salò; e un volume l’ha voluto dedicare all’amico e politico Enrico Belringuer: Berlinguer non era triste.

«Nel 1878 – ricorda Saba nel racconto dedicato a Kuliscioff – a Firenze si tiene un processo ad una «sovversiva» russa: è una donna bionda e alta, dagli zigomi larghi e dagli occhi azzurri penetranti che subito s’impone per bellezza, dignità e intelligenza, all’ammirazione del pubblico e dei giornalisti.

Si chiama Anna (Anjia) Kuliscioff, ma è nata il 9 gennaio (tra il 1853 e il 1857) in Crimea con il cognome Rosenstein da una famiglia borghese ebrea.

Costretta all’esilio per i suoi rapporti con i terroristi russi e ricercata dalla polizia segreta zarista. Anna lascia la Russia, dunque, e si rifugia in Svizzera.

A Zurigo studia medicina e conosce Andrea Costa, padre dell’anarco-socialismo italiano e se ne innamora seguendolo in Italia, paese straniero di cui non conosce neppure la lingua, ma che diventerà la sua patria d’elezione.

Dopo la rottura del tormentato rapporto con Costa, dal quale la divideva la concezione del ruolo della donna nella coppia, Anna diventa la “libera compagna” di Filippo Turati.

“Dottora” dei poveri nella Milano che per quarant’anni sarà la sua città, la “signora del socialismo italiano” contribuisce con l’attività politica, giornalistica e saggistica, ad aprire il movimento operaio italiano a una dimensione internazionale, e combatte insieme a Turati – spesso prima e meglio di lui – le battaglie progressiste: il voto alle donne, la tutela del lavoro femminile e minorile, l’organizzazione e la difesa dei lavoratori.

La loro casa in Galleria è frequentata, fra gli altri, da Treves, dai Mondolfo, da Lombroso, Salvemini, Amendola, Matteotti. Dopo le ansie e le sofferenze della guerra, si entusiasma per la rivoluzione del 1917 che, spera, redimerà la sua mai dimenticata Russia.

Gli ultimi anni scorrono tragici: condanna la violenza dei bolscevichi e, al tempo stesso, impegna le estreme forze di donna malata contro il fascismo, fino all’assassinio del prediletto Giacomo Matteotti».

Nella completa e documentata biografia della Kuliscioff, dunque, Marina Addis Saba fa rivivere una straordinaria figura di donna la cui vicenda umana e politica è tutta nel segno di una costante coerenza tra ideale e azione.

Kuliscioff, non poteva non essere inserita nell’autorevole Enciclopedia delle donne .

L’enciclopedia ci ricorda che sarebbe stato troppo semplicistico per Kuliscioff attribuire l’inferiorità della donna all’egoismo e alla prepotenza maschile.

L’inferiorità femminile, ricorda Filomena Fantarella, «È assai più complicata e subdola; sì, subdola perché il passare del tempo e l’evoluzione intellettuale e morale dell’uomo ha trasformato l’antica condizione di schiavitù della donna; ma, appunto, l’ha trasformata non l’ha abolita, e anzi – auspice anche la tradizione cristiana -, quella condizione di mite arrendevolezza è stata santificata dalle stesse donne.

“I detti di San Paolo – affermava Kuliscioff – di San Giovanni Crisostomo, di Sant’Agostino, di Sant’Ambrogio ed altri, tutti d’accordo a chiamare la donna la porta del demonio, lo provano a sufficienza. E questi concetti, modificati e rifatti poi dalle varie chiese e soprattutto dalla chiesa cattolica, informano ancora dopo tanti secoli la sostanza delle opinioni che hanno gli uomini e, purtroppo, anche le donne stesse, sulle capacità, sulle attitudini e sui rapporti reciproci dei due sessi […] così per le donne sono rimaste leggi ed istituzioni che hanno origine dalla forza brutale, consacrate e sanzionate dalla chiesa e diventate poi anche base dei codici civili vigenti”. Da qui muove Anna per descrivere la parabola della donna, dall’eta’ primitiva agli albori della società industriale, con “l’altra metà del cielo” sempre piegata sotto il giogo della sopraffazione e dello sfruttamento. “Si potrebbe dire con Letourneau – sottolinea con forza Kuliscioff – che il primo animale domestico dell’uomo è stato la donna, perché in condizioni dispari di lotta, essa rimaneva la vinta, ma vinta soltanto dalla forza brutale”».

Oggi è possibile consultare testi e preziosi documenti presso il sito della fondazione Kuliscioff.

Inoltre è attivo il Premio Kuliscioff con il bando 2021.