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Chiese riformate nel mondo: vivere e testimoniare la nostra fede

Come per molte altre organizzazioni, anche la Comunione mondiale di Chiese riformate (Cmcr/Wcrc) ha dovuto rivedere i suoi piani in quest’ultimo anno. Noi membri del Comitato esecutivo mondiale non abbiamo potuto riunirci che sporadicamente e via computer. Le commissioni di lavoro, gli incontri e le visite alle chiese hanno dovuto essere rimandati. L’ufficio di Hannover, dove lavorano il segretario generale Chris Ferguson e lo staff, si è trovato a dover mantenere un minimo di contatti con le chiese sparse nei cinque continenti, ma i programmi, seppur rallentati, devono continuare.

Ma non come se nulla fosse, la pandemia del Covid ci obbliga a riflettere e a progettare in modo diverso. Per questo motivo mercoledì 9 dicembre, sempre via Zoom, ci siamo confrontati con fratelli e sorelle delle Chiese riformate nel primo incontro, al quale ne seguiranno molti altri, sul vivere e testimoniare la nostra fede in quest’epoca che è foriera di molte sfide e problemi.

È un dialogo appena abbozzato, possiamo però dire che sono emersi tre ambiti di riflessione e ricerca.

Innanzitutto, guardando al passato, possiamo affermare che la Confessione di Accra del 2004 si è rivelata profetica. Allora i riformati avevano condannato l’idolatria di chi affermava che il liberismo economico e finanziario avrebbe salvato il mondo facendo migliorare le condizioni di vita dell’umanità. Inoltre avevano condannato lo spreco di risorse e la distruzione del pianeta come azione profondamente blasfema poiché si contrappongono all’incarico, ricevuto dal Creatore, di custodire a terra. Guardando al Covid ci si rende conto di come inquinamento e povertà economica contribuiscano ad aggravare la malattia prodotta dal virus, in una realtà dove le condizioni di vita dell’umanità sono peggiorate ulteriormente negli ultimi 16 anni, sia dal punto di vista dell’ingiustizia economica sia da quello della conservazione del creato.

Se osserviamo il presente, la fotografia della realtà è sconcertante. Nell’incontro abbiamo udito varie voci provenienti da tutto il pianeta. Allan Boesak ci ha ricordato come un miliardo di esseri umani sia costretto a sopravvivere con un euro al giorno, e che poche decine di uomini possiedono il 50 per cento delle ricchezze del pianeta. Ha anche affermato che rischiamo un nuovo apartheid globale teso alla marginalizzazione dei poveri e dei senza risorse. Dall’India ci hanno detto che la pandemia ha eliminato la possibilità di lavoro e di guadagno soprattutto per i settori più deboli della popolazione. Da molte parti si leva un allarme per il risorgere di razzismo, nazionalismi e tribalismi che sono, insieme alla povertà, focolai di guerre e scontri sanguinosi: dal Camerun al processo di pace che sta fallendo in Colombia, per dirne solo un paio. Intanto continuano la desertificazione e lo sfruttamento delle risorse prime in Africa e l’innalzamento degli oceani che minacciano alcune coste ed isole del Pacifico.

Nel futuro dobbiamo proiettare il nostro lavoro in due direzioni. Innanzitutto, come moltissimi stanno già facendo, continuare a impegnarci per la giustizia economica ed ecologica nelle nazioni dove viviamo. Da più parti si è levata la richiesta della soppressione del debito dei paesi più poveri per permetter loro di risollevarsi. Inoltre in moltissimi paesi del mondo la sanità non è a disposizione di tutti, e vi è il fondato timore che il vaccino non venga reso disponibile per tutta l’umanità. Il nostro impegno nel sociale non può e non deve affievolirsi in questi momenti che, come ha detto la presidente Najla Kassab, sono dei kairòs, appuntamenti fondamentali nei quali vivere la nostra fede.

Ma il rischio è che il sociale lasci da parte la riflessione teologica e di fede. Il nostro futuro dovrà vedere un rinnovato interesse per la basi della nostra fede evangelica confrontata con i problemi del mondo. Come è stato detto nei vari momenti liturgici di riflessione e preghiera che abbiamo avuto nell’incontro: «i profeti e Gesù non hanno avuto timore nel confrontarsi con le ingiustizie del mondo e dell’impero».