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Giulio Regeni, un passo verso verità e giustizia?

Giovedì 10 dicembre la Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta sul rapimento e la morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso il 25 gennaio 2016 al Cairo e il cui corpo venne trovato soltanto il 3 febbraio alla periferia della capitale egiziana.

I magistrati hanno chiesto il processo per quattro persone appartenenti segreti egiziani, con accuse di sequestro di persona, concorso in omicidio e lesioni personali. Si tratta del Maggiore Generale Tariq Sabir e degli agenti Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, mentre è stata chiesta l’archiviazione per una quinta persona.

Secondo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia, si tratta di un passaggio importante, «perché se come immagino, nel 2021 ci sarà un processo e se gli imputati saranno in presenza o in assenza, questo dipenderà dall’Egitto, non certo alla giustizia italiana. Se si arriverà a una sentenza che stabilirà che quattro funzionari dello Stato egiziano si sono resi responsabili dei crimini di diritto internazionale, sull’Egitto ci sarà uno stigma, sarà il Paese conosciuto al mondo per avere al suo interno dei funzionari dello Stato responsabili di un delitto e che non sono stati mai inviati alla Procura italiana, sono stati sempre coperti, addirittura forse promossi. Un bel danno alla reputazione dell’Egitto, ma la verità giudiziaria coinciderà finalmente con la verità storica e che conosciamo da quasi cinque anni, cioè che si trattò di un delitto di Stato». In effetti, come racconta Il Fatto Quotidiano, il Maggiore Generale Tariq Sabir, che si pensava avesse concluso la sua carriera, è invece ancora attivo, al punto da essere una delle figure centrali nella repressione messa in atto nel settembre del 2019 contro le proteste di piazza. Eppure, dal Cairo è difficile immaginare che possa arrivare una risposta differente rispetto a quelle di questi cinque anni, in cui silenzio, depistaggi e grandi dichiarazioni rasssicuranti sono stati l’unica forma di interazione. «La Procura del Cairo – ricorda Noury – è giunta a una conclusione che è opposta a quella della Procura di Roma, ha stabilito che i responsabili del sequestro di Giulio e di ciò che è tragicamente seguito facevano parte di una banda di rapinatori, peraltro cinque di loro uccisi nel marzo del 2016, e quindi per il Cairo si procederà per il reato di furto nei confronti di eventuali superstiti di quella banda di rapinatori freddata per creare una copertura nelle indagini».

Nell’atto di chiusura delle indagini, la procura di Roma parla di violenze durate giorni e di strumenti di tortura usati sul ricercatore italiano, come riferito da un testimone che all’epoca del rapimento lavorava nella sede della National Security dove si ritiene che Regeni sia stato detenuto e probabilmente ucciso. Si tratta di testimonianze dure, dolorose, ma necessarie. «Non bisogna cadere nell’errore di isolare le violazioni dei diritti umani subite da Giulio dal contesto generale egiziano – aggiunge il portavoce di Amnesty International – che è un contesto di ossessione securitaria, di una caccia a tutti coloro che sono ritenuti a torto evidentemente una minaccia alla sicurezza dello Stato, per cui cittadini egiziani che vanno all’estero, cittadini italiani che vanno in Egitto, cittadini egiziani che restano in Egitto ma si occupano di questioni sensibili sono a torto individuati come dei nemici e dunque persone da eliminare e comunque ridurre al silenzio col carcere o con la morte».

Proprio per questo, nella giornata di ieri la famiglia Regeni ha rinnovato la propria richiesta al governo italiano di richiamare il proprio ambasciatore dal Cairo. Da quando nel 2017 il governo Gentiloni aveva deciso di inviare nuovamente l’ambasciatore in Egitto, lo aveva fatto con la dichiarata intenzione di favorire le indagini. Eppure, secondo la famiglia Regeni, questo non è avvenuto. «Questo punto – ha dichiarato ieri Claudio Regeni, padre di Giulio – è stato messo in secondo piano dando priorità alla normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto e a sviluppare i reciproci interessi in campo economico, finanziario e militare, vedi la recente vendita delle fregate, e nel turismo, evitando di affrontare qualsiasi scontro. L’atteggiamento dell’ambasciatore Cantini è una chiara dimostrazione di tutto ciò». Le relazioni economiche tra Italia ed Egitto, in effetti, in questi anni sono cresciute soprattutto in due settori considerati strategici: gli idrocarburi e le armi, al punto che in pochi credono davvero a una possibile mossa diplomatica italiana.

Ma mentre a Roma si faceva un passo avanti, a Parigi il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi incontrava Emmanuel Macron per ricevere da lui la legione d’onore, l’onorificenza più alta attribuita dalla Repubblica francese. Nella conferenza stampa congiunta al termine dell’incontro, il capo dell’Eliseo si è limitato a dire che esistono “disaccordi” tra Francia ed Egitto in tema di ”diritti umani”, aggiungendo però che questi non devono «condizionare la cooperazione in materia di difesa, così come in materia economica». «È incommentabile, se non con parole molto dure, di vergogna», afferma Riccardo Noury. «Con questo atto e con le parole che ha pronunciato nella conferenza stampa conclusiva dell’incontro con Al Sisi, Macron ha scritto una delle pagine più nere dell’impegno europeo in favore dei diritti e questo è veramente un fatto grave. Parallelamente, mentre a Parigi si conferiva una legione d’onore a un dittatore, a Milano si conferiva la cittadinanza onoraria a Patrick Zaki. Sono molto fiero della decisione del consiglio comunale di Milano, peraltro all’unanimità. La differenza tra Milano e Parigi oggi è questa».