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Silenzio di Dio e silenzi umani in André Neher

Che cosa è più impressionante: il silenzio o ciò che resta in mezzo fra gli interlocutori avvinti dal silenzio? La mancanza delle parole o l’abisso che si scava tra le persone? Sono due dei possibili interrogativi che possono insorgere alla lettura di un lavoro raro: la tesi di laurea in Filosofia di Danilo Di Matteo, dedicata all’opera più famosa del filosofo ebreo André Neher. Il libro di Neher (1914-1988) è L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz (1970, con più di una traduzione in Italia) e quello di Di Matteo, con pagine introduttive di Daniele Garrone e introduzione di F. P. Ciglia, ne costituisce una lettura importante e puntuale.

Il retroterra non è solo quello biblico, noto allo studioso di ambiente protestante, simpatizzante della chiesa metodista di Pescara. È anche l’abisso di Auschwitz, del Male assoluto, di un’umanità esposta all’inadeguatezza del proprio linguaggio e incerta nel leggere quello di Dio. Neher, è stato anche esegeta e cultore di ermeneutica biblica, ha lavorato sulla lingua ebraica: ma questo non riduce, anzi amplia, la profondità delle vertigini che suscita. I numerosi esempi di silenzio nella Bibbia, che egli fa e Di Matteo riporta (Saul, definito addirittura «profeta senza parola», Abramo che, dopo l’episodio dello scongiurato sacrificio di Isacco scopre il silenzio fra sé e Dio) si affiancano alle considerazioni sullo sterminio: «il silenzio dei campi di sterminio è in primo luogo il silenzio abissale che li separa dal mondo». Quello che avvolse lo sterminio stesso fu la pagina più tremenda di quello che viene definito «silenzio post-biblico».

Di Matteo legge Neher e le sue illuminazioni improvvise fatte di paradossi, eredi di una tradizione amplissima, che rimandano alle immagini sfolgoranti di Edmond Jabès: «Da un luogo più lontano della morte Dio parla. Da sempre fummo in ascolto di quel silenzio» (Il libro della sovversione non sospetta, Feltrinelli, 1984), ma anche al pensiero di Jacob Lévi Moreno (1889-1974), fondatore dello psicodramma. E chiarisce che senza silenzio, in alternanza fra gli interlocutori, non sarebbe possibile l’ascolto, e quindi il dialogo. Va detto, a questo punto, che l’autore è da molti anni psichiatra e psicoterapeuta: e quindi questo suo lavoro è anche e forse più di tutto un atto di fiducia proprio nell’esercizio della parola, anche come pratica terapeutica. Un atteggiamento propositivo, di reazione agli abissi che ci si spalancano di fronte, un modo per curare le persone.

Il libro sarà presentato in un incontro via web giovedì 10 dicembre, ore 18, sul sito www.radioradicale.it, congiuntamente ad altri due libri pubblicati dallo stesso editore: Prove di autoritratto di Salvatore Veca, filosofo della politica, e La resistenza del silenzio. Per una proposta politica e democratica di Bruna Peyrot, di cui avevamo parlato al momento della sua uscita.

 

* D. Di Matteo, «L’esilio della parola». Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher. Mimesis Edizioni, Sesto S. Giovanni, 2020, pp. 154, euro 12,00.