2019-05-08_12

Fototessere 11: lo spirito della fraternità francescana

Prosegue la serie di incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma e che ha visto finora i ritratti di Maria Paola RimoldiAnnapaola CarbonattoMatteo FerrariFulvio FerrarioGabriella CaramoreVito TamboneAndrea DemartiniMarco Cassuto MorselliShangli Xu e Giorgio Tourn: uomini e donne che hanno dei ruoli conosciuti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non avendo incarichi conosciuti ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi. Oggi è il turno di Fra Lorenzo Ranieri, preside dell’Istituto di Studi ecumenici di Venezia.

 

Fra Lorenzo Raniero, nato a Vicenza nel 1967, religioso dell’Ordine dei Frati Minori (1992) e sacerdote (1994), dopo il baccalaureato in Teologia presso lo Studio teologico “San Bernardino” di Verona (1992), procede con gli studi di specializzazione in teologia presso lo “Instituto Superior de Ciencias Morales” di Madrid (1994-1995) e consegue il dottorato in Teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma (2000). Inizia da subito a insegnare presso lo Studio teologico Interprovinciale “San Bernardino” di Verona e nel 2003 anche presso l’Istituto di Studi ecumenici di Venezia. Ha insegnato anche come docente invitato presso alcuni studi teologici del Veneto e della Lombardia (Verona, Padova, Mantova). Dal 2013 è direttore di redazione della Rivista di Studi Ecumenici, e da giugno 2020 è preside dell’Istituto di Studi ecumenici di Venezia. Tra le sue pubblicazioni, il volume Preceduti dalla Parola. Percorsi di ermeneutica ecumenica, Antonianum, Roma 2016, scritto a quattro mani con P. Sgroi; Le parole del matrimonio, Messaggero, Padova 2019. Oltre all’insegnamento accademico, si dedica alla pastorale familiare e giovanile in ambito parrocchiale e diocesano.

– L’Istituto di Studi ecumenici (Ise), di cui lei è preside, è ospitato a Venezia nel convento francescano di S. Francesco della Vigna. Ritiene che l’Ordine francescano sia portato più di altri a lavorare per la causa ecumenica?

«L’Ordine dei frati minori è ecumenico nella sua essenza perché ha semplicemente messo al centro il Vangelo: centrarsi sull’unico Signore Gesù Cristo è ciò che costituisce l’identità cristiana, prima ancora delle appartenenze ecclesiali. Noi francescani abbiamo scelto il Vangelo come priorità e lo seguiamo nella spiritualità di S. Francesco».

– L’Ise fu fondato con l’intenzione di occuparsi in modo particolare dei rapporti con il Protestantesimo. È ancora così?

«A dire il vero, non è stata questa l’intenzione originaria, bensì la consapevolezza che l’unica fede cristiana si esprime in teologie diverse. Tuttavia, la situazione concreta italiana di quegli anni, che vedeva la nascita dell’Istituto di Teologia orientale a Bari, ha fatto sì che la Conferenza episcopale chiedesse all’Ise di occuparsi dei rapporti con il Protestantesimo, così da avere in Italia due centri ecumenici caratterizzati in modo diverso. Tale richiesta è stata accolta con entusiasmo dal nostro Istituto, che ha iniziato subito a collaborare con personalità di spicco del mondo protestante».

– Come si manifesta questo particolare interesse per il Protestantesimo?

«Oggi l’Ise mantiene la relazione con il Protestantesimo attraverso rapporti di collaborazione accademica con docenti protestanti di vari centri teologici (l’Università di Marburgo e l’Istituto per gli Studi ecumenici di Strasburgo) con i quali organizza seminari teologici su temi sensibili a entrambe le confessioni. Ciò ha favorito le relazioni, facendo nascere rapporti di stima e di amicizia fraterna».

– Un filosofo anticlericale francese commentò l’elezione di Bergoglio con queste parole: «Papa Bergoglio è talmente gesuita che si è dato il nome di Francesco». Secondo lei, quanto è francescano il papa gesuita Francesco?

«L’attuale pontefice fin da subito si è presentato al mondo nell’immediatezza di una umanità semplice e cordiale che ha colpito tutti. Potrei dire “da fratello”. Non da meno, papa Francesco ha sempre dimostrato una grande predilezione per i poveri che sono al centro del Vangelo e la passione dell’evangelizzazione, tutti aspetti costitutivi del carisma francescano. Per questo papa Bergoglio è “francescano” non solo di nome».

– Ci racconti, in sintesi, la storia della sua fede. Lei è “nato cristiano” o lo è diventato?

«La mia fede nasce dentro un tessuto di relazioni familiari semplici e mi è stata comunicata dall’esempio e la vita dei miei genitori, soprattutto dal nonno paterno. Ma questo è stato l’inizio; soltanto più tardi ho preso consapevolezza di questo grande dono e l’ho fatto mio. Per me è stato determinante l’incontro con la Parola di Dio a 19 anni durante un ritiro: ho scoperto il contatto vivo con Cristo nella sua parola e sentito la bellezza del dono di grazia. Da allora non ho più smesso di pregare con la Parola».

– Perché non le è più bastato essere cristiano, e ha deciso di farsi frate? È qualcosa di più o di diverso dall’esser cristiano?

«Sentivo il bisogno di dare una forma più radicale al mio battesimo. Affascinato dalla semplicità dei francescani, dall’umiltà e dall’immediatezza delle loro relazioni, ho visto in questa forma di vita qualcosa che mi apparteneva. E ho scoperto che “francescano” vuol dire “Vangelo” senza compromessi».

– Francesco di Assisi è stato un cristiano rivoluzionario: ha abolito la figura quasi millenaria dell’abate, per dare vita a una comunità cristiana radicalmente fraterna, nella quale tutti sono “fratelli” e nessuno “padre”. È d’accordo con questa mia valutazione?

«La rivoluzione di Francesco d’Assisi è stata semplicemente quella del Vangelo. Il suo modello di vita cristiana era quello dei discepoli al seguito del Maestro, e si distaccava notevolmente dal modello ispirato alla chiesa primitiva degli Atti degli Apostoli, perseguito invece dagli ordini monastici. In questa sua scelta è risultata centrale la parola di Cristo che Francesco ha fatto sua nella Regola: “Voi siete tutti fratelli. Non vogliate chiamare nessuno padre vostro sulla terra, perché uno solo è il vostro Padre, quello che è nei cieli” (cf. Mt 23, 8-9)».

– Perché oggi così tanti francescani sono anche “padri”, cioè sacerdoti, e non più solo “frati”, come voleva Francesco? Forse che il francescanesimo si è clericalizzato?

«La clericalizzazione dell’Ordine francescano risale alla metà del Duecento, quando i frati minori si erano ormai diffusi in tutta Europa e la Curia romana vedeva in loro uno strumento per supplire alla carenza di clero. A partire dal Vaticano II, però, i francescani hanno iniziato a recuperare lo spirito originario della fraternitas anche in ciò che riguarda gli incarichi di direzione dell’Ordine. Se la tradizionale distinzione tra “padre” e “frate” è oggi superata dalle nuove generazioni, resta da risolvere la questione canonica del famoso art. 3 §2 delle Costituzioni Generali dell’Ordine per permettere ai francescani di assumere ruoli di leadership anche se non si è sacerdoti».

– Il Poverello di Assisi, oggi, è davvero così povero come voleva Francesco? O il suo modello di povertà è impraticabile?

«Per Francesco d’Assisi la povertà è vivere “sine proprio”, cioè senza l’attaccamento del cuore a cose, ruoli, beni. Credo che la povertà oggi vada vissuta in questa forma più radicale. Il resto viene da sé».

– Giudicando lo stato dell’ecumenismo alla luce della sua esperienza all’Ise, come sta oggi l’ecumenismo in Italia?

«La difficoltà che vedo è la formazione della nostra gente all’ecumenismo, perché possa entrare nelle relazioni quotidiane. Se l’ecumenismo della carta e della parola ha fatto grandi progressi, tuttavia resta ancora molto da lavorare sull’ecumenismo della vita».

– A proposito di ecumenismo, che cosa pensa lei dell’“ospitalità eucaristica”?

«Posso esprimermi a favore dell’ospitalità eucaristica come momento di partecipazione ai mezzi della grazia. Può contribuire ad accelerare il superamento delle divisioni fra le Chiese nel rispetto delle legittime diversità».