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50 anni fa il divorzio: il dibattito nelle chiese valdesi

Il 1° ottobre 1965, il deputato socialista Loris Fortuna deposita alla Camera dei deputati una proposta di legge per l’introduzione del divorzio in Italia. Il 12 dicembre dello stesso anno, al Ridotto dell’Eliseo a Roma, si svolge il primo dibattito pubblico sulla proposta di legge sul divorzio, organizzato dal gruppo romano del Partito radicale. Come è andata, poi, lo sappiamo: circa cinque anni dopo, il 1° dicembre 1970, la legge che porta il nome di Fortuna e del liberale Antonio Baslini viene approvata dal Parlamento (con l’apporto fondamentale extraparlamentare della Lega italiana per il divorzio, del Partito radicale e in particolare di Marco Pannella) e poi sarà confermata dalla maggioranza degli italiani nel referendum del 1974.

In questi giorni ricorrono i 55 anni dall’inizio dell’iter legislativo (che non fu affatto semplice) e 50 anni dalla sua approvazione. Il dibattito sul divorzio in Italia, però, è assai precedente, nella società civile e nella politica, ed è in parte anticipato e accompagnato dal cinema come spiega bene Giovanni Bogani nel suo articolo su Quotidiano Nazionale citando i film Il bell’Antonio (1960, Mauro Bolognini), I fuorilegge del matrimonio (1963, Paolo e Vittorio Taviani e Valentino Orsini), Scusi, lei è favorevole o contrario? (1966, Alberto Sordi) e, soprattutto, Divorzio all’italiana (1961, Pietro Germi).

Tornando alla legge del 1970, qual è stato l’atteggiamento della Chiesa valdese? «Ci sono stati diversi dibattiti già dai primi degli anni Sessanta – ci dice il pastore e teologo Bruno Rostagno – e l’orientamento era chiaramente favorevole».

Per avere una presa di posizione ufficiale arriviamo al Documento sul matrimonio del 1971 (quindi a legge già approvata), che negli ultimi 5 articoli (in totale sono 60) affronta il tema del divorzio. «Si tratta di un documento molto prudente», osserva Gianna Urizio, giornalista e regista televisiva. Prudente, è vero, se lo leggiamo con gli occhi di oggi, ma va rimarcato che il testo, nel ribadire l’importanza del matrimonio «come unione duratura per il tempo della vita terrena dei coniugi», riconosce per la società civile «la necessità di una legislazione inerente al divorzio che ne regoli le condizioni a tutela della responsabilità e dei diritti dei coniugi e dei figli». Subito dopo aggiunge che «i credenti pertanto assentiranno ad una legislazione civile relativa al divorzio per un doveroso riguardo verso la coscienza di coloro che non si dichiarano credenti; riguardo senza il quale ogni predicazione dell’Evangelo diviene equivoca e perde la sua autenticità». Insomma, non proprio dei barricaderi divorzisti, ma la presa di posizione a favore della legge è netto e forse in quel era difficile chiedere di più. «L’orientamento favorevole era evidente, confermato anche dall’altissima percentuale di voti contrari all’abrogazione della legge che si riscontrarono nelle Valli Valdesi», ricorda Rostagno. «Certo – continua Urizio, il “vantaggio”, se così si può dire, di una chiesa protestante è il fatto di non considerare il matrimonio un sacramento, come invece è per i cattolici». Colpisce, semmai, che la Chiesa valdese arrivi a questi pronunciamenti in ritardo rispetto ad altre Chiese europee ma, come osserva il pastore ed ex-moderatore della Tavola valdese Eugenio Bernardini, «nei Paesi europei di matrice protestante, ma anche negli Stati Uniti, il divorzio è stato introdotto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento e la questione si è posta molto prima».

Di certo, la presa di posizione del Sinodo valdese (prudente, ma esplicito) ben si inserisce nel contesto storico italiano di quegli anni e nella dinamica che attraversava anche la Chiesa. «Va detto – continua Urizio – che proprio in quegli anni è in corso un importante rinnovamento all’interno della Chiesa, sotto la spinta dei giovani, sulla scia di Bonhoeffer e Barth. C’era un’ampia “Chiesa confessante” che aveva un altro sguardo sulla società ed era capace di unirsi a battaglie civili».

Il rapporto tra Chiesa e divorzio, poi, ci porta inevitabilmente al tema della cura pastorale delle persone che vivono il travaglio della fine di un amore, prima ancora che di un matrimonio. Una situazione sempre difficile e dolorosa, così come molto complicata era la vita per chi cominciava un nuovo rapporto prima dell’approvazione della legge Fortuna-Baslini. «Seguire i coniugi nel momento della rottura del rapporto è sempre molto delicato – dice Rostagno – e in quegli anni ancor di più. Riguardo alla nascita di nuove relazioni, prima del 1970 mi è capitato di seguire molte coppie di conviventi che aspettavano con ansia l’approvazione della legge e devo dire che erano molto più unite di quelle sposate».

 

Foto: Divorzio all’italiana, scena finale