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L’economia batte l’etica

Ieri domenica 29 novembre il popolo svizzero si è pronunciato mediante i consueti referendum popolari su due temi importanti, che hanno tenuto impegnato il dibattito politico ma anche sociale ed ecclesiastico, per circa tre anni. Il primo sulle “multinazionali responsabili” cioè la richiesta che le aziende con sede in Svizzera, ma che operano anche in altri paesi, debbano rispondere dei danni commessi all’estero, se non dimostrano di avere operato in tutti i modi per prevenirli, e quindi di non esserne responsabili; una decisione cruciale (pensiamo alla questione dei diritti dei lavoratori o all’impatto ambientale) e molto problematica per le aziende interessate, come dimostra la profonda divisione che ha accompagnato il dibattito. 

Il secondo per vietare alla Banca nazionale svizzera, alle fondazioni e agli istituti di previdenza pubblica e professionale di finanziare i produttori di materiale bellico. Secondo il testo dell’iniziativa, saranno considerate produttrici le aziende che realizzano più del cinque per cento del loro fatturato annuo dalla produzione di tale materiale. 

Entrambi i referendum prevedendo modifiche costituzionali, necessitavano di una doppia maggioranza, quella dei votanti e quella dei cantoni, e per un soffio entrambi i referendum sono stati bocciati. Il voto sulle multinazionali responsabili ha visto da un lato vincere il sì con il 50,7% dei voti, ma il voto è stato contrario in 14 dei 26 cantoni, per cui il referendum è bocciato. Il voto sul divieto di aiuti alle aziende produttrici di armi è stato rigettato con il 57,5% dei voti e in quasi tutti i cantoni.

L’economia ha dunque vinto sull’etica, e se nel caso del voto sulle armi era prevedibile, date varie complicazioni economiche e occupazionali, sulle multinazionali la delusione è più forte. Società civile, moltissime associazioni e chiese si erano spese a fondo nel richiedere un comportamento più responsabile da parte delle aziende multinazionali con sede principale in Svizzera.

I promotori dell’iniziativa popolare hanno atteso invano che il Parlamento esprimesse una proposta chiara in materia, e anche all’interno del mondo civile, delle associazioni e delle chiese, le posizioni sono tutt’altro che univoche.

Nel settembre 2019 il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera (Fces, ora Cers, Chiesa evangelica riformata in Svizzera) presieduto allora da Gottfried Locher, aveva dichiarato il proprio favore, sottolineando che “l’economia deve essere al servizio dell’essere umano. La Fces farà quindi sempre sentire la propria voce per ricordare alla Svizzera la sua responsabilità nei confronti degli abitanti dei paesi del sud” (si leggeva nell’articolo sul sito di Voce evangelica).

Anche la Conferenza dei vescovi cattolici e l’Alleanza evangelica svizzera hanno dato il loro sostegno all’iniziativa, così come circa 700 singole parrocchie, la Federazione delle donne protestanti di Svizzera e molti altri.

Organismi ecclesiastici tra cui l’Eper–Heks, la Diaconia delle chiese riformate elvetiche, ma anche Acat, Pain pour le prochain, A Rocha, Compassion, DM-Echange et mission, oltre a 130 ong, da Amnesty International a Zero Waste, impegnate in vari ambiti (dai diritti umani alla tutela dei consumatori, dall’ambiente alla cooperazione internazionale).

La prossima iniziativa promossa da vari gruppi pacifisti e umanitari, che mira a vietare le esportazioni di armi verso paesi colpiti dalla guerra civile, dovrebbe essere messa ai voti nel 2021.