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Protestanti in Italia, una storia che prosegue insieme

Più di 250 partecipanti, e un gradimento che ha subito fatto capolino nei messaggi scritti in chat: il convegno «Il sogno di un’Italia protestante. Storia e attualità di un cammino comune. Il reciproco riconoscimento tra le chiese battiste, metodiste e valdesi a cento anni dal Primo convegno delle chiese evangeliche italiane», organizzato il 21 novembre via web dal gruppo di lavoro per conto degli esecutivi battista, metodista e valdese, prima tappa verso una sessione congiunta di Sinodo e Assemblea dell’Ucebi (2022), è stato un successo che dà fiducia. 

Giovanni Arcidiacono, presidente del Comitato esecutivo Ucebi, Unione cristiana evangelica battista italiana, ha ricordato come già quelle generazioni avessero «provato a rispondere alla preghiera sacerdotale, “che siano uno affinché il mondo creda”». La presidente del Cp/Opcemi, Comitato permanente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia, Mirella Manocchio, sottolineando la presenza di così tante persone, ha rilevato come sia stato giusto non rinunciare a promuovere, proprio nell’anno della pandemia, un percorso di questo genere. Concetto ripreso dalla moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta: proprio ora dobbiamo porci le domande essenziali, come vivere la fede in un preciso contesto e nella storia, una fede incarnata; e come coltivare un sogno e una visione, mantenendo ferma la capacità di lavorare con pazienza e umiltà a creare una cornice per lavorare insieme. Il presidente della Fcei , la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Luca M. Negro ha ricordato che la crescita di comunione fra le chiese membro non può che rafforzare la testimonianza comune della Fcei. E Annapaola Carbonatto, segretaria della Federazione giovanile evangelica in Italia, ha segnalato la vicinanza della Fgei rispetto al cammino bmv: vi si incontrano infatti i e le giovani delle chiese battiste, metodiste e valdesi. L’incontro con l’altro e con l’altra è fondamentale per crescere consapevolmente come persone, come credenti, cittadini e cittadine.

Emilio Florio ha rievocato il 1920, permeato dai postumi della Grande Guerra: le classi popolari identificavano la chiesa di maggioranza nel paese con il potere, economico e politico, che aveva mandato a morire troppi dei loro figli. Anche 50 anni dopo la “presa di Roma”, l’Italia non era diventata protestante. E tuttavia i 400 delegati all’auditorium di via Ripetta mostreranno la volontà di essere nel paese, e di testimoniare una maniera diversa di vivere l’Evangelo. Se qualcuno aspirava all’unità degli evangelici, il Congresso sarà stato un insuccesso, ma esso fu una decisiva presa di coscienza. Non essendo maturi i tempi per pensare a un’ipotesi di tipo federativo, le chiese furono spinte a ripensare al senso e ai modi della loro presenza. Li faranno spesso, questi ragionamenti: quando saranno ristrette sotto il fascismo, quando i loro membri si butteranno nella Resistenza; lo faranno i loro giovani negli anni ’50, chi ad Agape chi seguendo Danilo Dolci in Sicilia. Giorgio Spini più che considerare la necessità di una “evangelizzazione” dell’Italia, optava per proporre agli italiani a un’idea complessiva di Riforma, che dall’adesione al protestantesimo andasse a investire le forme del vivere sociale e politico… (Protestantesimo n. 3/1949). Ma intanto altre chiese (pentecostali, Fratelli) lavoravano per l’Evangelo, e riuscivano a raggiungere le classi più popolari – capita ancora oggi, quando le chiese del protestantesimo storico calano vistosamente, e “tengono” meglio quelle di tipo carismatico.

Oggi – aveva detto Florio nelle sue battute iniziali – l’interlocutore non è più il cattolicesimo di allora, e dei decenni sucessivi, ma l’indifferenza rispetto all’Evangelo. «Il sogno di un’Italia protestante oggi non è che i nostri concittadini diventino protestanti, ma che i tanti che hanno perso il senso trovino l’Evangelo»: come ci attrezziamo?

Nel primo dei tre interventi sulle possibili sfide future, Gianna Urizio ha rivendicato la capacità delle chiese protestanti italiane di entrare in dialogo fra loro, con le loro strutture, con i propri giovani e con la società, con azioni che sono sotto i nostri occhi. E tuttavia… si decresce, e come protestanti nelle città siamo diventati diaspora. Tutti i possibili ragionamenti sono poi stati sconvolti dalla pandemia, che ha messo in luce una serie di ingiustizie sociali, uno Stato che si ritira dai suoi compiti. In tanti cercano di lavorare su questo, nella società civile: i protestanti dovrebbero farlo a partire dalla parola che trovano nel cap. 11 della lettera agli Ebrei: per fede…

Anche Claudio Paravati ha fatto riferimento alla secolarizzazione, pur così diversa da quella laicista di fine ’800: forme nuove e diverse del credere ci interrogano, come dimostrano molti recenti studi. Nelle sue parole si è colto quello che era stato un problema anche nelle generazioni precedenti: come far coesistere il dialogo con altri soggetti con la ricerca e consapevolezza della propria identità? A quale aspetto dare la priorità? Forse l’atteggiamento giusto è quello che suggerì anni fa il pastore Franco Becchino: nelle storie di esperienze anche diverse e parallele, riconosciamo la nostra storia.

John Bremner, da osservatore di un altro paese, ma che ben conosce le chiese italiane, ha sottolineato che quel lavoro comune, che a noi sembra in crisi, in realtà, rispetto ad altre situazioni europee, è molto avanzato: il riconoscimento reciproco al di là delle forme di battesimo ricevute, non è cosa scontata. Ed essere evangelici in un’Europa sempre meno cristiana è impresa che richiede continui aggiornamenti. Lo si può e deve fare collaborando fra chiese, senza rinunciare ai tratti della propria identità. Ma il vero discrimine sta nella nostra attenzione alla croce. In tutto ciò che facciamo, dov’è la croce? Il ringraziamento convinto, da parte dei partecipanti, per questa indicazione la dice lunga sulla voglia di fare. E il richiamo, venuto da un intervento “libero”, alla preghiera ne sarà sostegno. E ci permetterà di cogliere, sottotraccia ai nostri progetti, affascinanti a volte contraddittori e imperfetti, nelle forme che di volta in volta si presentano migliori, il progetto che Dio ha per noi.

Nella foto di Pietro Romeo un momento dell’Assemblea-Sinodo 2007, Roma