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L’invenzione del dialogo

Strati e strati di tradizioni letterarie si sovrappongono a formare quello che oggi leggiamo e ascoltiamo. Pagine come fossero di carta velina che fanno intravedere attraverso, e possono rivelare quello che sta sotto. A volte si può intravedere molto a fondo, altre volte le pagine si perdono tra le pieghe dei secoli e della carta deteriorata. Non solo le parole, ma formule, stili narrativi, temi ricorrenti, affiorano chiari sui testi del XXI secolo e spesso non ci accorgiamo di quanto ci fanno sembrare simili ai nostri antenati di millenni fa.

Attraverso il libro di Alessandro Mengozzi,  professore ordinario di  semitistica, che insegna filologia semitica, lingua e letteratura siriaca e lingua araba a Torino, andiamo a scoprire un po’ del mondo delle comunità cristiane dell’epoca tardo antica. Comunità che fin dal III secolo cominciano a scrivere testi, soprattutto inni a uso liturgico che al loro interno integrano un modello di testo ancora più antico, che deriva dalla Mesopotamia del primo millennio: la disputa.

Il libro si intitola L’invenzione del dialogo, edito da Paideia, e ne abbiamo parlato con l’autore.

I documenti che si prendono in esame, che tipo di società raccontano?

«La disputa mesopotamica riporta a una civiltà urbana e abituata allo scambio di battute, all’incontro di due contendenti che di fronte a un giudice e al pubblico discutono fra loro.  Queste dispute, per esempio, mettevano a confronto due stagioni o due strumenti utilizzati per l’agricoltura, due animali o due tipi di piante che venivano in qualche modo umanizzate per discutere tra di loro su vari temi. La contesa riguarda fondamentalmente i benefici che queste piante, strumenti o animali avevano per l’uomo. Un po’ come le favole esopiche, per esempio del lupo e l’agnello. Dando la parola a due contendenti, animali, piante o oggetti, l’uomo di allora ci fa capire di società fondamentalmente contadine in cui quello che conta è il raccolto, il passare del tempo, l’intervento degli dei nella vita di tutti i giorni.

I testi che ho scelto e tradotto nell’Invenzione del dialogo provengono dal contesto siriaco. Qui la  disputa non è necessariamente una discussione animata tra due contendenti ma può essere semplicemente un dialogo. In genere protagonisti sono due personaggi biblici che parlano tra di loro su determinati argomenti. Si tratta di un passaggio molto importante perché siamo nel contesto di una civiltà cristiana i cui valori sono incentrati sulla Bibbia. I personaggi non sono più favolistici, anche se ancora capita che si facciano discutere i mesi per determinare il migliore: il vincitore dipenderà da quando viene festeggiata la Pasqua o il Natale perché ospitano festività legate alla vita di Gesù. Ma ci sono soprattutto personaggi biblici che parlano fra di loro e ci danno un’idea di comunità cristiane innamorate della Bibbia, che la raccontano continuamente anche utilizzando formati testuali di questo tipo».

Nella Bibbia stessa ci sono tracce di queste formule antiche?

«Si perché la Bibbia, come la letteratura cristiana in generale, si fa veicolo della tradizione culturale, anche letteraria, della Mesopotamia antica per vari aspetti, per esempio le leggi, i proverbi, la sapienza. Tra le altre forme testuali, per esempio nel famoso apologo di Iotam, si utilizza proprio il format della disputa tra gli alberi per chi deve avere il regno all’interno del creato. Anche in altri punti si vede che esisteva questa cultura del dar voce ad animali e piante, e si è  portato questo genere dalla Mesopotamia alle letterature degli ebrei e dei cristiani più successive».

Perché “invenzione” del dialogo?

«Perché in questi dialoghi, per l’uomo antico e poi per l’uomo cristiano, la dimensione dell’invenzione o della finzione è necessaria per tramandare determinati contenuti. E proprio su questo aspetto si vuole mettere l’attenzione. Questi sono bellissimi testi letterari, spero anche in traduzione sebbene bisogna ricordarsi che erano inni che fondamentalmente venivano cantati, e questo è fondamentale per  capire perché hanno avuto successo: sono stati copiati, ricopiati e cantati nelle chiese. Sono stati efficaci nel loro fine da un punto di vista semiotico ma anche da un punto di vista culturale più generale, e sociale, cioè nella loro funzione di trasmettere un contenuto, di rielaborarlo, renderlo piacevole e di farlo ricordare. Forse anche di metterlo in discussione, quanto meno in una discussione apparente che in realtà giunge a una conclusione che tutti già conoscono: quella dell’ortodossia, quello che sappiamo tutti essere buono e giusto e che così è raccontato nella Bibbia o nel Vangelo».

Vengono in mente le dispute più moderne dei nostri giorni, dal confronto tra candidati politici alle contese musicali tra rapper. Ci sono dei luoghi in cui la letteratura contemporanea ha mantenuto questo tipo di tradizione?

«Proprio questo tipo di testi, quelli siriaci, ma anche i loro modelli più antichi mesopotamici, dimostrano come il format di due contendenti che, di solito di fronte a un arbitro e a un pubblico si scambiano battute, uno svilendo l’altro,accusandolo, (nei testi mesopotamici i due contendenti arrivano anche a prendersi fisicamente a legnate), ed esaltando invece le proprie virtù, capacità e meriti,  è antichissimo. Questi testi dimostrano che da quando esiste una civiltà urbana, una città, o un’organizzazione sociale e civile, esiste una letteratura che serve a chi deve esercitare il potere o a chi è incaricato di trasmettere la cultura, per renderla trasmissibile. Il pubblico ama da sempre e ovunque vedere due squadre, due atleti, due contendenti che, secondo determinate regole e con un arbitro, si contendono il primato.

Per quanto riguarda invece la contesa tra rapper, questo è l’altro aspetto importante che ho cercato di mettere in evidenza: non solo il tipo testuale, l’invenzione, la finzione nella disputa è importante come testimonianza culturale, ma è fondamentale il fatto che abbia le sue radici in una forma  vocale. Si tratta sempre di poesia e non di prosa.  Poesia che vuol dire musica, vuol dire melodia. Evidentemente le civiltà che si sono succedute nella storia e hanno utilizzato strumenti letterari per animare una disputa, per mettere in gioco una contesa, per inventare un dialogo, l’hanno fatto tutti utilizzando questo strumento che è il ritmo, la musica, la vocalità, la possibilità di riprodurre musicalmente e riprendere parti della melodia o del testo del contendente per rispondersi. Sia dal punto di vista della funzione, se vogliamo giuridico, giudiziario, retorica, sia dal punto di vista dell’efficacia con cui questi testi vengono messi in scena, questo tipo di letteratura ci dimostra quanto siano fondamentali sia la dimensione retorica che la dimensione di tipo vocale e musicale».

Nel corso della stesura del libro c’è stato un testo che l’ha particolarmente colpito, coinvolto o che ha trovato particolarmente bello?

«Molti dei testi che ho tradotto mi hanno colpito per aspetti diversi. Dal punto di vista del contenuto il testo che forse mi ha colpito di più è il primo, un dialogo che ha una forma di disputa ma è un po’ particolare perché sono due personaggi che parlano all’io del poeta, ed è la disputa tra ragione  e amore di Efrem, grande poeta della letteratura siriaca. È un testo sublime perché riesce, col linguaggio immaginifico, il gioco di contrapposizioni e anche lo scambio di battute nelle varie strofe tra ragione e amore, a rendere il pensiero che sta dietro ad Efrem per quanto riguarda quello che possiamo dire e raccontare di Dio e del nostro rapporto con Dio. Si trattano i temi fondamentali della mistica, della teologia rappresentati all’interno di un dialogo tra ragione e amore. Splendidi anche i dialoghi che partono da personaggi biblici a cominciare dal dialogo mancato tra Caino e Abele che nel testo ebraico della Bibbia così come l’abbiamo, non c’è. Quando Caino sta per uccidere il fratello tutte le letterature del vicino oriente, sia degli ebrei che dei cristiani, hanno messo un dialogo in bocca ai due. In ambiente giudaico è un dialogo sul male e sul fatto che esisterà o meno un giudizio nell’aldilà; in ambito cristiano diventa una sorta di espansione narrativa quasi melodrammatica tra Abele che chiede pietà a un Caino ossessionato, perché posseduto. Satana è fondamentale, contrariamente a quella che forse è la nostra sensibilità, nel leggere l’episodio di Caino. È un testo estremamente drammatico. Forse questo mi ha colpito particolarmente a posteriori quando, dopo averlo tradotto, commentato e messo in relazione con testi simili della tradizione giudaica, su internet ho trovato una collezione di icone piuttosto tarde di origine etiopica, cristiane, in cui si vedono Caino e Abele al momento del fratricidio, dove compare rappresentata la figura di Satana alle spalle. Mi ha colpito particolarmente vederlo uscire dal testo che ho tradotto e ritrovarlo in una rappresentazione visiva in questa icona etiopica».