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Ancora stragi in mare, la misura è colma

Parole se ne sono spese tantissime, di ogni sorta. Ma nulla.

E allora resta e deve restare sempre la cronaca, il racconto di tragedie senza fine che giorno dopo giorno si ripetono nel nostro mare. Perché nessuno possa dire “Io non sapevo”.

Ieri 100 morti circa, chissà quale il numero esatto, in due distinti naufragi, che fanno del 12 novembre il giorno con probabilmente il maggior numero di vittime nel mar Mediterraneo nel 2020. Dobbiamo dire probabilmente perché l’Europa non è nemmeno in grado di dare certezze sulla triste conta dei morti. Se nessuno vede, se nessuno pattuglia, se nessuno sa, chissà quanti altri sono stati inghiottiti dalle onde. Mille persone circa nel solo Mediterraneo, dicono i dati. Circa. Le uniche realtà che tentano disperatamente di pattugliare il mare e prestare soccorso, le navi delle Ong, vengono fermate con qualsiasi pretesto in un cortocircuito folle dove il salvatore diventa il criminale e dove Ponzio Pilato Europa detta le regole, le “non” regole.

«La perdita di vite umane nel Mediterraneo è una manifestazione dell’incapacità degli Stati di intraprendere un’azione decisiva per dispiegare un sistema di ricerca e soccorso quanto mai necessario in quella che è la rotta più mortale del mondo», ha detto Federico Soda, capo missione in Libia dell’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. L’Oim è la principale organizzazione intergovernativa in ambito migratorio. L’Italia è uno dei paesi fondatori. Attualmente gli Stati Membri sono 173. Dal settembre 2016 l’Oim è entrata nel sistema ONU diventando Agenzia Collegata alle Nazioni Unite.

«Da tempo chiediamo un cambiamento nell’approccio, evidentemente impraticabile, seguito nei confronti della Libia e del Mediterraneo. Non dovrebbero essere più riportate persone a Tripoli e si dovrebbe dar vita al più presto a un meccanismo di sbarco chiaro e prevedibile, a cui possano far seguito delle azioni di solidarietà degli altri Stati. Migliaia di persone vulnerabili continuano a pagare il prezzo dell’inazione, sia in mare sia sulla terraferma».

Più di 11.000 migranti sono stati riportati in Libia, in un paese dove possono rischiare di subire violazioni dei diritti umani, detenzione, abusi, tratta e sfruttamento, come documentato dalle Nazioni Unite.

Dall’inizio di ottobre circa 1.900 migranti sono stati intercettati in mare e riportati in Libia mentre almeno 780 dei migranti arrivati in Italia nello stesso periodo provengono dalle coste libiche.

«Il peggioramento delle condizioni umanitarie dei migranti detenuti in centri sovraffollati, i diffusi arresti arbitrari e la detenzione, le estorsioni e gli abusi sono allarmanti. In assenza di ogni sicurezza per i migranti riportati nel Paese, la zona di ricerca e soccorso libica deve essere ridefinita per consentire agli attori internazionali di condurre operazioni di salvataggio» dice ancora Soda.

L’Oim sostiene che la Libia «non è un porto sicuro e ribadisce il suo invito alla comunità internazionale e all’Unione europea a intraprendere azioni urgenti e concrete affinché i migranti non vengano più riportati in questo paese. Le continue restrizioni al lavoro delle Ong che conducono operazioni di soccorso devono essere immediatamente rimosse e i loro interventi devono essere riconosciuti quali attività che rispondono all”imperativo umanitario di salvare vite umane».

Fa sentire la sua voce anche la Chiesa evangelica in Germania, che in questi anni sta cercando di tenere alta l’attenzione sui drammi in mare finanziando varie attività di ricerca e soccorso, in primis la nave Sea Watch 4 e l’aereo di ricognizione Moonbird, ma molte altre sono le azioni di finanziamento e sensibilizzazione messe in atto.

 Il vescovo luterano Heinrich Bedford-Strohm, presidente del Consiglio dell’Ekd, ha espresso sgomento per la situazione nel Mediterraneo. «La morte di così tante persone nel giro di poche ore è terribile. Le atroci sofferenze e le morti insensate nel Mediterraneo devono avere fine».

In precedenza, il presidente del Consiglio Ekd aveva parlato in un video incontro con la ministra dei Trasporti italiana Paola De Micheli per il rilascio della nave di salvataggio “Sea-Watch 4 – finanziata dalla coalizione United4Rescue“, attualmente bloccata nel porto di Palermo per cavilli giuridici. Nella riunione di giovedì sera, alla quale hanno partecipato anche il comandante generale della Guardia costiera italiana, Giovanni Pettorino, nonché il coordinatore del programma migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Paolo Naso, Bedford-Strohm aveva espresso la sua incomprensione per lo stop della nave nonostante l’evidente emergenza sul Mediterraneo. «Finora sono state soprattutto questioni legali che lo hanno impedito. Mi rammarico che fino a questo momento esse abbiano avuto più peso dell’urgenza umanitaria», ha affermato il Bedford Strohm, che allo stesso tempo ha sottolineato che gli sforzi costruttivi per “liberare” la nave sarebbero proseguiti: «Ma resteremo vigili in modo che la Sea-Watch 4 possa fare di nuovo quello per cui è lì: salvare vite umane».

L’agenzia stampa Nev-notizie evangeliche ha raccolto una dichiarazione di Paolo Naso che si dichiara «indignato». E afferma: «E’ più che mai urgente un’azione concertata di search and rescue nel Mediterraneo. Governo e maggioranza devono prendere atto che, di fronte a tragedie ricorrenti e sempre più gravi, si rende indispensabile l’attivazione di un sistema concertato di azioni umanitarie di ricerca e soccorso in mare».

La “Sea-Watch 4”, acquistata da donazioni dall’alleanza United4Rescue promossa dalla Chiesa e attrezzata come nave di soccorso, è ancorata nel porto di Palermo sin dalla sua prima missione di soccorso del 20 settembre, durante la quale ha salvato 353 migranti in difficoltà.

Uno stallo francamente vergognoso.