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Altri naufragi, altri morti

263 disperati raccolti in mare ieri in tre distinte e estenuanti operazioni di soccorso dall’unica nave umanitaria che in questo momento può muoversi nel Mediterraneo. Una sola a causa dei vari fermi cui le altre imbarcazioni sono state costrette dalle autorità italiane, con pretesti di ogni sorta. Autorità italiane, che come quelle maltesi in tutta la giornata di ieri non hanno risposto agli incessanti Sos lanciati dalla Ong spagnola Open Arms.

6 persone sono morte. 5 adulti e un bambino di sei mesi, Joseph. Non è chiaro il numero dei dispersi. Quando un aereo del piano europeo di pattugliamento dei confini Frontex ha segnalato il caso i naufraghi erano oramai in mare da tre giorni. Il personale medico a bordo della Open Arms sta affrontando l’ennesimo enorme sforzo di cura. Da solo.

Una vergogna che non ha fine.

Il Centro Astalli , sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in un comunicato afferma: «Seguiamo con apprensione le notizie delle centinaia di migranti finiti poche ore fa in mare, a causa del cedimento dell’imbarcazione su cui erano alla deriva da giorni nel tentativo di raggiungere l’Europa e fuggire da una Libia sempre più pericolosa». 

P. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, sottolinea come: «Questo naufragio avviene letteralmente davanti ai nostri occhi. Eppure nulla si muove, in questo azzeramento delle distanze sarebbe normale un’immediata reazione da parte dell’Europa e dei governi nazionali per cercare di salvare quante più vite possibile. Sarebbe ovvio attivare canali umanitari e piani di evacuazione dalle principali aree di crisi come è oggi la Libia. Si tratta tra l’altro di misure già sperimentate che bisognerebbe mettere in atto in maniera strutturale e sistematica. Ogni naufragio ci mostra il paradosso di questa epoca in cui il fatto che degli esseri umani muoiano in mare non suscita reazioni e non provoca indignazione. Serve un sussulto di umanità, unico vaccino possibile al male dell’indifferenza».