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Gattegna e la consapevolezza dell’identità

La sensibilità, la levatura morale e lo stile di Renzo Gattegna hanno lasciato un’impronta durevole nell’ebraismo italiano, in particolare nei suoi aspetti istituzionali e nelle relazioni con la società italiana, con le altre religioni, a cominciare dalla nostra chiesa, che ebbe in lui un interlocutore interessato e attento.  Sempre attivo nella vita comunitaria ebraica, dopo vari anni nel Consiglio della comunità di Roma, entrò a far parte del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche in Italia (2002-2006). Nel 2006 assunse la carica di Presidente dell’Unione, incarico che rivestì fino al 2016. Anni difficili, anche segnati dal riacuirsi in tutta Europa e in Italia di atti e discorsi antisemitici. Molte volte dovette far sentire la sua voce, con il suo stile asciutto, e perciò tanto più autorevole, in difesa degli ebrei e di Israele. Con la stessa fermezza sostenne i diritti di tutte le minoranze, la libertà religiosa, la laicità dello stato. Così, ad esempio, manifestando la solidarietà degli ebrei italiani con la chiesa valdese di Piazza Cavour, imbrattata da scritte omofobe, affermò: «Chi colpisce le minoranze, chi imbratta i luoghi di culto, chi lancia messaggi di odio sui muri delle nostre città sappia che le sue speranze sono vane e che non ci faremo ma intimidire».

Nella sua conduzione dell’Unione, curava l’unità dell’ebraismo italiano e insieme la necessità che esso si inserisse nel dibattito pubblico e nella cultura italiana, come componente consapevole e orgogliosa della sua identità e della sua ricca eredità. Il Museo dell’Ebraismo Italiano e della shoah  e l’edizione del Talmud con traduzione italiana sono esempi di questa vocazione culturale. 

Nel trattato Pirqe Avot della Mishnah si riferisce questo detto di Rav Chanina ben Dosa’: «Quando le opere di un uomo ne superano la sapienza, questa si mantiene». (3,12) Renzo Gattegna aveva sapienza, e, cosa non meno importante, saggezza. Nei colloqui personali, anche quelli informali, anche quelli in veste di avvocato, chiedeva e ascoltava, prima di parlare; le sue parole erano pesate e perciò avevano peso quando le pronunciava. Si avvertiva immediatamente di avere di fronte un uomo saggio. Come e quanto egli abbia tradotto la sua saggezza in opere, in azioni concrete per il bene dell’ebraismo, ma anche della polis, emerge vividamente dalla dedizione, dalla competenza e dall’equilibrio con cui ha operato nelle istituzioni ebraiche e nello spazio pubblico. La sapienza che lo ha animato si è concretizzata e moltiplicata nella sua vita e nella sua azione, e si mantiene nell’esempio – riconosciuto con gratitudine – che egli lascia a chi oggi continua la sua opera e a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.