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Omicidio Rocchelli-Mironov. Assolto il «colpevole»

«Assolto. L’uomo che nella sentenza di primo grado era stato considerato colpevole di aver partecipato all’omicidio di Andrea Rocchelli e Andreij Mironov. In appello è stato considerato non colpevole. Le motivazioni della sentenza spiegheranno perché questo rovesciamento di pareri», scrive il direttore del Festival dei diritti umani, Danilo De Biasio, sul sito Articolo 21.org.

Andrea, fotoreporter di talento, è stato ucciso da una serie ripetuta di colpi di mortaio vicino a Sloviansk in Ucraina il 24 maggio 2014. Con lui, muore anche il suo amico e giornalista russo Andrej Mironov. 

Con loro quel giorno c’era il fotoreporter francese William Roguelon che ferito gravemente si salva e diverrà un  testimone prezioso dell’accaduto insieme all’autista del taxi che li accompagnava in quella missione giornalistica. 

L’Italia in questi anni ha indagato sull’omicidio del giornalista mentre l’Ucraina difendeva il principale suo indiziato.

La morte di Rocchelli, secondo l’accusa, non è stata, dunque, una tragica conseguenza da imputare al contesto di guerra ma un attacco mirato per eliminare i testimoni più scomodi. 

Il collega sopravvissuto aveva raccontato a chi lo aveva sentito per le indagini: «Intorno alla città di Sloviansk i miliziani filorussi avevano creato sbarramenti per fermare l’avanzata ucraina. Nella nostra zona non c’era alcun check-point e tutto era calmo. A sinistra avevamo una fabbrica. Abbiamo camminato fino al treno, l’autista ci ha raggiunti e abbiamo iniziato a scattare delle foto dalla strada. Eravamo vestiti normalmente, in abiti civili, senza alcun travestimento. Dopo circa dieci minuti è comparsa una quinta persona, era vestito con una tuta nera e scarpe da ginnastica, aveva molta paura… Ci siamo messi in fila indiana, camminavamo lungo la strada, quando abbiamo sentito che ci stavano sparando con dei kalashnikov. 

Ci siamo buttati in un fosso, con un argine alto circa tre metri, coperto da vegetazione. Ho preso le coordinate Gps e le ho inviate ad alcuni miei amici giornalisti, perché pensavo che sarei potuto morire in quel luogo. 

Due o tre minuti dopo che erano terminati gli spari, sono iniziati i colpi di mortaio. Il primo è caduto lontano da noi. Altri colpi hanno iniziato ad avvicinarsi alla nostra auto, sino a colpirla. Tra un colpo e l’altro passavano 4 o 6 secondi, tra il sibilo e lo scoppio 2-3 secondi circa. Le esplosioni continuavano con cadenza regolare, con aggiustamento del tiro, che si avvicinava sempre di più a noi…», ha ricordato William Roguelon, che, ferito, gravemente alle gambe riuscì a fuggire e oggi è l’unico testimone oculare, oltre all’autista locale e a quel quinto uomo, rimasto tutt’oggi senza nome.

Dopo la sentenza di assoluzione in appello del Tribunale di Milano all’unico indiziato, Vitaly Markiv, il soldato italo-ucraino già condannato in primo grado per l’omicidio di Rocchelli, «gli avvocati Ballerini e Pisapia – ha ricordato il giornalista De Biasio, che ha seguito professionalmente il caso e ascoltato presso il tribunale l’ultimo verdetto – hanno deciso di non commentare la sentenza e di attendere le motivazioni. Il che, non è un modo per negare la propria sconfitta. Dalla lettura della sentenza non si è capito, infatti, se la Corte d’appello abbia sostenuto che Valery Markiv andava assolto – semplificando un po’ – per insufficienza di prove o se per contraddittorietà della prova.

Resta il fatto – afferma De Biasio – che ciò che era stato considerato una prova sufficiente dalla sentenza di primo grado e ribadito caparbiamente dalla Procura Generale di Milano non ha convinto la Corte. 

Da una parte, c’erano le testimonianze del superstite William Roguelon e quelle di alcuni commilitoni di Markiv e le perizie, i siti filo-ucraini che avevano inserito Rocchelli e Mironov tra i nemici da abbattere; le frasi sgradevoli di Markiv intercettate in cella che raccontavano questo scenario: il gruppetto di fotografi e il giornalista/interprete volevano documentare la guerra ucraina, che colpisce anche i civili, ma si sono trovati sotto tiro sino al colpo di mortaio che li ha investiti. 

Dall’altra, la narrazione opposta: Markiv non c’entra, Rocchelli e Mironov si trovavano nel posto sbagliato e solo per pura sfortuna sono stati colpiti.  Ecco perché le motivazioni saranno davvero importanti, per capire cosa non ha convinto i giudici.

Resta però l’amaro in bocca – conclude De Biasio -. Non tanto per un imputato assolto, ma perché chi vuole strumentalizzare la sentenza farà passare il peggiore messaggio per la categoria dei giornalisti: “Non andate nel posto sbagliato, perché ve le andrete a cercare”. 

Ecco perché, per la sentenza del processo Rocchelli, nessuno può dirsi soddisfatto. 

Un motivo in più per confermare ciò che Articolo 21, la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), il Festival dei Diritti Umani hanno fatto in questi anni: restare vicini ai familiari di Andy e Andreij, perché una morte senza giustizia è la peggiore condanna».

La crisi in Ucraina scoppiò nel novembre 2013, quando l’allora presidente Viktor Yanukovych interruppe i preparativi per un accordo di associazione dell’Ucraina all’Europa in favore di un’altra intesa che avrebbe legato ancor più il Paese alla Russia. Iniziarono così le proteste di piazza conosciute come Euromaidan, quelle che Andrea Rocchelli aveva documentato.

«Il cambiamento della linea politica interna – ricorda Fabio Polese sul sito Osservatoriodiritti.it – scatenò poi le reazioni delle aree del Paese a maggioranza russa. E dopo l’annessione della Crimea a Mosca nel 2014, i ribelli filorussi imbracciarono le armi in diverse parti dell’est dell’Ucraina.

I combattimenti proseguono da allora, in quello che è considerato il conflitto più sanguinoso della storia recente in Europa dopo le guerre dei primi anni Novanta nella ex Jugoslavia. Secondo le stime rilasciate dalle Nazioni Unite, questa guerra ha già causato due milioni di sfollati, più di 30 mila feriti e oltre 10 mila morti. Tra le vittime, appunto, anche il reporter italiano».

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Il disegno, una gentile concessione dell’autore, Mauro Biani (il manifesto 2017)