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Giuseppe Di Vittorio. Da bracciante a segretario della Cgil

Il 3 novembre del 1957 moriva all’età di sessantacinque anni Giuseppe Di Vittorio, nato a Cerignola (Foggia) l’11 agosto (registrato all’anagrafe il 13) del 1892. 

Di famiglia evangelica – «apparteneva a una di quelle piccole comunità evangeliche, non insolite in Puglia, promosse da emigrati negli Stati Uniti», ricorda su Treccani.it Pero Craveri –  Di Vittorio diventerà una figura fondamentale nella storia del sindacalismo moderno. Aveva frequentato la scuola domenicale del piccolo comune del foggiano.

Antifascista e leader della Cgil, era dotato di uno straordinario carisma. Il padre Michele era curatolo (bracciante specializzato con compiti di fiducia) presso un’azienda agricola.  La madre si chiamava Rosa Errico e la sorella più grande Stella.

Oggi si celebra il ricordo del sindacalista a Cerignola, mentre ieri, e alla vigilia dell’evento, a Borgo Mezzanone (frazione di Manfredonia – Foggia), alcune scritte inneggianti al nazifascismo sono comparse sulle serrande della sede locale della Cgil.

Giuseppe Di Vittorio dirigente sindacale e uomo politico, fin dal primo Novecento ha guidato le lotte contadine in Puglia. Esule durante gli anni del fascismo, ha combattuto nella guerra di Spagna ed è stato nel 1944 tra i fondatori della Cgil, di cui ha ricoperto la carica di segretario generale. È stato anche presidente della Federazione sindacale mondiale, deputato alla Camera e membro dell’Assemblea costituente.

All’indomani dell’emanazione delle leggi razziali fasciste del 1938, Giuseppe Di Vittorio «elevò, alto e forte, il suo grido di sdegno. In quegli anni era esule a Parigi e dirigeva il giornale La voce degli italiani», da cui sono tratti i due articoli che la Fondazione di Vittorio rende disponibili sul suo sito.

Nell’ultimo discorso, pronunciato al convegno dei dirigenti e degli attivisti della Camera del Lavoro di Lecco, avvenuto il 3 novembre 1957, Di Vittorio esortava i convenuti a lottare per l’equità. 

«Invito a discutere su questo, è giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? É giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? É giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato. […]».

Oggi, 2020, le parole di Di Vittorio suonano purtroppo ancora attuali, se guardiamo alla situazione di molti braccianti e ai continui rigurgiti dal sapore nazi-fascista (come quello di ieri avvenuto a a Borgo Mezzanone).

Di Vittorio concludeva il suo discorso ribadendo il valore della responsabilità: «Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere».

Il 3 novembre del 2017, in occasione dell’inaugurazione a Cerignola di un murale in onore del sindacalista Di Vittorio (iniziativa alla quale parteciparono i familiari, le autorità locali e l’allora segretaria della Cgil Susanna Camusso) il vescovo Luigi Renna disse: «[…] Ben so che le origini di Giuseppe Di Vittorio erano valdesi e non cattoliche; ben so che negli anni del suo impegno politico ci furono più divergenze che convergenze tra la Chiesa Cattolica e chi condivideva il suo impegno nel sindacato e nel Partito Comunista Italiano. Ma so anche che il suo comunismo è quello che è stato definito “dal volto umano” tutto intriso di ideali di umanità propri della nostra Italia e dell’Europa».

Giuseppe Di Vittorio, non «non era lontano da sentimenti e dai valori religiosi», si legge su ilmercadante.it, la prima rivista online di storia e cultura di Cerignola: «Si ha, infatti, memoria orale di una sua prima adesione alla Chiesa Valdese di Cerignola. Forse a ragione anche di questo, sia il Pci prima, che il Pd poi, hanno annoverato diversi elettori a loro favore tra i fedeli valdesi di Cerignola».

Di Vittorio muore come dicevamo il 3 novembre 1957 a Lecco, dove si era recato per inaugurare la nuova sede della locale Camera del lavoro. 

Il viaggio della salma fu indimenticabile, ricorda il sito delle Cgil Lombardia: «A ogni stazione ferroviaria il treno deve sostare più a lungo per la folla che, a pugno chiuso, si riversa nelle piazze per salutare Peppino». 

Tre giorni dopo, in una Roma attonita e commossa, si svolgeranno i funerali. 

«Il dolore della folla si è espresso profondo e acuto come quello di una famiglia», scriveva su l’Unità Paolo Spriano.

«Forse, neppure Di Vittorio immaginava di avere tanti amici, tanta gente di ogni ceto sociale che se ne partiva ora di casa, e veniva qui a gettargli un fiore, e dirgli che gli voleva bene».