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Un tesoro in biblioteca

Che cos’hanno in comune il rivoluzionario ungherese Lajos Kossuth, Jean Cavalier, il più famoso dei camisard, gli ugonotti che lottavano contro le imposizioni di Luigi XIV, e Rosa Madiai, perseguitata nella Toscana di metà Ottocento insieme al marito per la propria fede evangelica?

Oltre a essere tutti e tre in un certo senso dei “ribelli”, le loro Bibbie sono depositate presso la biblioteca della Fondazione Centro culturale valdese di Torre Pellice.

Questo fatto curioso ci dice qualcosa sul progetto, avviato alla fine del 2018 da questa biblioteca insieme a quella della Facoltà valdese di Teologia a Roma, di catalogazione e inserimento delle proprie Bibbie nel Servizio bibliotecario nazionale, da cui finora erano quasi assenti. Questo ha consentito di colmare alcune lacune: per esempio, grazie a questo progetto sono ora presenti tutte le edizioni conosciute della Bibbia nella versione di Giovanni Diodati (la Bibbia protestante italiana per eccellenza).

Oltre alle persone che già lavorano in questi due enti, sono state coinvolte due catalogatrici professioniste e una quindicina di studiosi. Italiani e stranieri, specialisti di storia dell’editoria o interni al mondo protestante e valdese, questi ultimi hanno individuato alcuni temi, che confluiranno nel catalogo che sarà pubblicato nella serie dei Quaderni del patrimonio culturale valdese e conterrà anche una selezione di 120-130 esemplari dalle due collezioni. Il catalogo accompagnerà una mostra prevista per agosto 2021 a Torre Pellice e (compatibilmente con gli spazi a disposizione) alla Facoltà valdese di Roma.

Pur non essendo l’obiettivo del progetto, la mostra sarà una forma di restituzione del sapere raccolto rivolta a un pubblico più vasto, ci spiega Marco Fratini, responsabile della biblioteca del Centro culturale valdese di Torre Pellice. Questo progetto ha consentito e consentirà di rendere più visibile un pezzo di storia del protestantesimo italiano: finanziato tramite l’otto per mille della Chiesa valdese e con finanziamenti più piccoli a carattere regionale, non è infatti rivolto solo ad addetti ai lavori, ma è un’opera di divulgazione. Idealmente nasce dalla riflessione fatta in occasione di una delle mostre per il Cinquecentenario della Riforma protestante, sulla presenza della Bibbia nelle chiese valdesi fra Otto e Novecento: non solo del libro, ma di tutti quegli oggetti (segnalibri, quadretti con versetti biblici) che ne testimoniano la familiarità nella vita quotidiana. E qui entra in gioco un aspetto centrale, spiega Fratini, nell’identità del fondo della biblioteca, nato, dopo una prima fase legata ai doni britannici negli anni 40-50 dell800 (in questo analogamente alla biblioteca della Facoltà, che per il resto si differenzia, come vedremo più avanti, dalla predominanza di un unico e particolare donatore), in gran parte da donazioni di famiglie: «Su questi esemplari sono presenti le tracce indelebili della loro provenienza: non solo le pagine per registrare nascite, morti, battesimi, matrimoni, ma le annotazioni su come e perché quella Bibbia è stata acquistata, donata o trasmessa, o la presenza di fotografie o fogli aggiunti». 

A questo proposito Fratini ricorda due casi esemplificativi: «una Bibbia stampata a Ginevra del 1685, in sé non particolarmente rara, ma che un’annotazione dell’800 dice giunta alle Valli con il Rimpatrio; e la Bibbia di Rosa Madiai, che ne contiene la fotografia, i segni di una storia vissuta», nella Toscana di metà Ottocento in cui era ancora vietata la lettura autonoma della Bibbia, a maggior ragione la versione protestante.

Quest’ultima è giunta alla biblioteca tramite la collezione di Tito Chiesi, procuratore della Corte dAppello e tra i fondatori della chiesa valdese di Pisa, attivo nella Società biblica britannica e forestiera, contribuendo a diffondere i testi biblici in Toscana. Questo personaggio è centrale nella storia di entrambe le biblioteche: 350 delle sue Bibbie sono conservate a Torre Pellice (su un totale di circa 3400, dal XV secolo a oggi), 700 a Roma (su un totale di 1200-1300), tra cui le edizioni più rare e preziose. 

Il concetto di “preziosità” assume quindi un significato particolare, più legato alla storia che si condensa intorno al libro, che al libro stesso. Lo conferma Fratini: «Questo progetto non contempla quello che uno specialista si aspetterebbe: abbiamo dovuto spiegarlo ad alcuni collaboratori esterni, che non comprendevano l’assenza di alcune edizioni, anche protestanti, importantissime nella storia della stampa. Il progetto serve invece a mettere in luce il legame tra queste edizioni e la storia dei valdesi e ci fa riflettere su un aspetto interessante, quello della trasmissione: quando ci arrivano doni da privati, non solo dalle Valli, c’è sempre almeno unedizione della Bibbia (oltre a catechismi e innari). Se è una Bibbia del Seicento, è chiaro che non è una Bibbia comprata sul mercato antiquario, ma un oggetto che tutti hanno tenuto con cura, di generazione in generazione». E aggiunge:  «Questo simbolo della continuità storica familiare oggi viene affidato alla biblioteca: è un segno di fiducia, che testimonia anche un cambiamento di prospettiva, non è più il discendente, ma un’istituzione, a cui si consegna il libro più prezioso». Non è strano quindi, come racconta Fratini, che a volte le persone siano combattute nel momento di donare la propria Bibbia di famiglia, e qualcuno cambi idea.

Fratini ricorda un’altra attestazione di amicizia profonda, che la dice lunga anche sul legame dei valdesi con le chiese protestanti estere: il dono da parte delle chiese francesi del Luberon di una Bibbia del Seicento appartenuta a Jean Cavalier, che citavamo in apertura. Un segno del riconoscimento di una storia comune, ancor più prezioso considerando l’importanza del personaggio per chi ha donato questo volume a questa biblioteca. Come conclude Fratini, «l’unicità della nostra collezione è anche nel fatto di essere qui e non altrove: queste Bibbie hanno un significato qui dentro, non è solo una collezione di libri più o meno preziosi, è preziosa perché alcune persone le hanno trasmesse volontariamente alla biblioteca (lo stesso vale per gli oggetti al museo) per trasmetterle alle generazioni future. Questa è una caratteristica da non perdere mai di vista, dovremmo ricordarcene ogni giorno, per capire da dove veniamo e con quali intenzioni questo patrimonio è stato conservato. Chi nel Seicento aveva quella Bibbia non sapeva che quell’oggetto cui teneva così tanto sarebbe stato conservato in una biblioteca valdese: noi oggi dobbiamo fare questo percorso in un senso e nell’altro, capire quale era il significato allora e recuperare il significato per noi oggi».

Ecco perché questo non è “solo” un lavoro di schedatura, ma un viaggio nei secoli, alla scoperta di storie di vita vissuta e delle radici di una identità.

 

Fotografia: Bibbie per i missionari protestanti in edizioni ottocentesche, tra cui si possono notare oltre alle più classiche versioni in inglese, tedesco, latino, versioni in turco, tahitiano, “livonica”, “esquimato”, cinese; Biblioteca della Fondazione Centro culturale valdese di Torre Pellice, collezione Tito Chiesi (foto M. Fratini)