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Fototessere 8: ebrei e cristiani, popoli dell’attesa

Prosegue la serie di incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma e che ha visto finora i ritratti di Maria Paola RimoldiAnnapaola CarbonattoMatteo FerrariFulvio FerrarioGabriella CaramoreVito Tambone e Andrea Demartini: uomini e donne che hanno dei ruoli conosciuti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non avendo incarichi conosciuti ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi.

 

Marco Cassuto Morselli (Roma 1954) ha studiato Filosofia all’Università di Roma “La Sapienza”, alla Pontificia Università Gregoriana e alla Hebrew University di Gerusalemme. Ha insegnato per quasi quarant’anni Storia e Filosofia nei Licei. È autore de “I passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo” (Marietti 2007) e, insieme a Gabriella Maestri, di “Elia Benamozegh nostro contemporaneo” (Marietti 2017). È uno dei due curatori de “La Bibbia dell’Amicizia” (San Paolo 2019 e 2020). Sta preparando un commento ebraico ai Vangeli.

 

– So che lei, nato pochi anni dopo la Shoah, ha scoperto un po’ alla volta di essere ebreo. Ci racconti, in sintesi, questa storia.

«Mia madre proveniva da Salonicco, per secoli città dell’Impero Ottomano, divenuta poi greca. È scappata per mezza Europa (Germania, Francia, Italia) per salvarsi e poi ha voluto proteggere il suo bambino dalla tragedia che aveva alle spalle. Mi ci sono voluti molti anni per capire che cosa volesse dire essere ebreo, e convincermi che non potevo non esserlo».

– Si racconta che Federico il Grande chiese un giorno al suo medico personale: «Ditemi, Vi prego, una ragione per credere in Dio». Il medico, dopo qualche istante di riflessione, rispose: «Sire, gli Ebrei». Lei è d’accordo con questa risposta?

«Sono d’accordo. Il Dio della Bibbia non è una divinità astratta e indifferente alle vicende umane. Egli ha scelto un piccolo popolo per attuare il suo disegno di salvezza per tutta l’umanità. Per questo le vicende d’Israele e del Dio d’Israele – che è anche il Creatore dei cieli e della terra – sono inestricabilmente legate».

– Un certo numero di studiosi parla del cristianesimo come di una “eresia ebraica”. Lei che cosa pensa di questa tesi? 

«Dipende di quale cristianesimo si parla. Nel I secolo è nato un movimento messianico che si proponeva di convertire le genti dagli idoli al Dio vero, e non si può parlare di eresia: era il realizzarsi della vocazione universale d’Israele. In seguito la teologia della sostituzione e l’insegnamento del disprezzo hanno alterato questa situazione».

– Il papa Giovanni Paolo II parlò, com’è noto, degli Ebrei come dei «nostri fratelli maggiori». Ma nella Bibbia i “fratelli maggiori” sono quelli che Dio non sceglie, preferendo i fratelli minori (Abele, Giacobbe, Davide). Lei ritiene che sarebbe meglio rinunciare a questa idea?

«È vero, nella Bibbia i fratelli preferiti sono quelli minori, ma non penso che nella frase del papa vi fosse un intento polemico. Tutti gli esseri umani sono fratelli, ma definendo gli ebrei fratelli maggiori Giovanni Paolo II – un papa al quale le relazioni ebraico-cristiane devono molto – voleva sottolineare che la storia d’Israele ha preceduto di molti secoli la nascita della Chiesa».

– Gli Ebrei sono un popolo e una comunità di fede. Le due cose sono ovviamente distinte, ma anche inseparabili. Oppure, secondo lei, sono separabili? E comunque in che rapporto stanno l’appartenenza al popolo e quella alla comunità di fede?

«Esiste un popolo ebraico. Nei lunghi secoli di diaspora la sua identità è stata declinata in molti modi, fino a diventare solo religiosa o, in tempi recenti, solo storico-politica. Per quanto abbiamo detto al punto 2, penso che i due aspetti siano intrecciati, dal momento che Ha-Shem entra nella storia come liberatore e redentore».

– Lei è stato presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana (Aec) di Roma ed è attualmente presidente della Federazione delle Amicizie in Italia. A me pare che, dopo tutto quello che è successo e tutti i crimini (come non chiamarli così?) commessi dai cristiani contro gli ebrei, l’esistenza stessa di molte Aec sia un vero miracolo. Quante sono in Italia? E in Europa? E nel mondo?

«Le Aec in Italia sono otto (Firenze, Ancona, Roma, Torino, Napoli, Livorno, Ravenna, Alto Garda), riunite in una Federazione che a sua volta aderisce all’International Council of Christians and Jews, presente in quasi 50 Paesi. L’evento di dialogo ebraico-cristiano più importante in Italia sono i “Colloqui di Camaldoli”, dove da più di 40 anni all’inizio di dicembre ci riuniamo per qualche giorno».

– Come spiega, lei, la nascita di queste “Amicizie”? Perché si chiamano così?

«La prima Amicizia è stata fondata in Francia da Jules Isaac (1877-1963), l’autore di Jésus et Israël, uno dei grandi libri del XX secolo. Isaac aveva perduto la sua famiglia ad Auschwitz e, consapevole dei legami esistenti tra antigiudaismo e antisemitismo, ha voluto trasformare il suo dolore in un’opera di riconciliazione».

– Quali belle esperienze lei ha fatto o sta facendo come presidente della FederAec?

«Dopo quasi quarant’anni di insegnamento, nel mio primo anno di “libertà” avevo in programma una serie di viaggi nelle città italiane nelle quali non esistono ancora Aec, per cercare di promuoverne la nascita. Purtroppo ci si è messo di mezzo il Covid… Una dei più bei frutti del dialogo è a mio avviso La Bibbia dell’Amicizia, un libro in cui una cinquantina di studiosi ebrei e cristiani commentano pericopi della Bibbia. Nel 2019 è uscito il primo volume*, dedicato alla Torah/Pentateuco, e ora sta per uscire il secondo volume, dedicato ai Neviim/Profeti».

– I cristiani insistono nel dire, citando l’apostolo Paolo, che Israele è «la radice» del cristianesimo. Questo discorso a Israele interessa, oppure no ?

«Purtroppo questo discorso non interessa quanto dovrebbe. È vero che nel dialogo ebraico-cristiano vi è una asimmetria, però ora che Israele si trova nelle condizioni storiche che rendono possibile recuperare l’universalità della sua missione, farlo è divenuto una necessità».

– Lo Stato d’Israele – si sa – è un tema discusso, anche tra gli ebrei. Secondo lei l’esistenza di questo Stato ha rilevanza solo politica o anche teologica ?

«Penso che parlare solo dello Stato d’Israele sia riduttivo. Israele è un Paese con più di 9 milioni di cittadini, non solo uno Stato e non solo una Terra. Un Paese vuol dire un paesaggio, una cultura, una lingua, un certo modo di vivere. Che pochi anni dopo la Shoah questa realtà abbia iniziato a crescere ha del miracoloso. La definizione religiosa è: l’inizio del germogliare della nostra redenzione».

– Gli ebrei sono, come i cristiani, un popolo dell’attesa. Che cosa può significare, per un ebreo di oggi, attendere il Messia?

«A me piace pensare che l’attesa messianica unisca ebrei e cristiani. È l’attesa di giorni in cui ogni lacrima sarà asciugata, il lupo dimorerà con l’agnello, i popoli trasformeranno i loro strumenti di guerra in strumenti di pace».

– Come ebreo impegnato nel dialogo, quali consigli darebbe ai cristiani?

«Il mio consiglio è quello di rendersi conto dell’importanza del dialogo ebraico-cristiano: un cristianesimo liberato dal tradizionale antigiudaismo diventa di molto migliore!».

 

La Bibbia dell’Amicizia, vol. I. A cura di M. Cassuto Morselli e G. Michelini. Cinisello Balsamo, Ed. San Paolo, 2019, pp. 383, euro 30,00.