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Cristiani e musulmani: Fratelli Tutti

In contemporanea all’ondata di maltempo che ha investito il nord ovest del paese, è stata pubblicata l’enciclica di Papa Francesco, Fratelli Tutti. In questo caso non si tratta di un evento meteorologico di portata disastrosa, ma potremmo comunque descriverla come una lieve e frizzante brezza che avvolge le comunità religiose, e che investe in particolare i rapporti tra Islam e Cattolicesimo.

Se  per l’enciclica precedente infatti, Papa Francesco si era dichiarato ispirato dal patriarca ortodosso Bartolomeo, in questo nuovo documento l’ispirazione viene apertamente attraverso il dialogo con un importante Imam e teologo, Ahmad al Tayyeb. Un dialogo decisamente fraterno che ha trovato il suo culmine nel mese di febbraio del 2019 durante un celebre incontro avvenuto ad Abu Dhabi tra i due leader spirituali e che ha portato alla compilazione del documento Fratellanza mondiale per la pace e la convivenza comune, di cui l’ultima enciclica sembra essere un naturale approfondimento e prosecuzione. Non a caso infatti, l’enciclica apre subito riportando un episodio della vita del santo di Assisi, figura chiave per questo papato, ovvero la visita al sultano d’Egitto Malik-al-Kamil, in piena V crociata.

Un documento che non manca di rivelare alcune posizioni decise del pontefice anche a proposito di economia, migrazioni e politica. Sebbene la religione si avvalga spesso dell’astensione rispetto a questioni politiche, la riflessione intorno a questo documento ci interroga: perché, laddove c’è azione cristiana, non debba esserci  politica?

Il Papa lancia un sasso di avvertimento contro le piattaforme social che fanno venire meno l’incontro con la realtà, la condivisione umana del mondo e l’ascolto reciproco, contro le barriere fisiche che dividono i popoli,  critica il sistema capitalistico e ritorna sulla salvaguardia dell’ambiente.

Riguardo all’enciclica abbiamo voluto sondare la reazione del mondo musulmano in Italia attraverso il punto di vista di Adnane Mokrani, teologo e docente presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma e presidente del Cipax, Centro Interconfessionale per la Pace, progetto finanziato dall’8×1000 delle Chiese Metodiste e Valdesi.

È la prima volta che il Papa fa riferimento a personalità del mondo islamico in un’enciclica?

«In verità il Papa ha già menzionato nomi islamici in Laudato si, l’enciclica precedente. In una nota ha menzionato un grande sufi egiziano chiamato Ali al Khawas, ma nel testo stesso, questa volta, troviamo il nome di un grande Imam contemporaneo ancora in vita.

L’enciclica in qualche maniera rappresenta lo sviluppo del documento Fratellanza Umana: approfondisce  e conferma una gran parte del documento di Abu Dhabi ma va oltre il documento per segnalare anche posizioni più radicali verso alcune tematiche».

Che significato ha questo documento, Fratellanza Umana per i rapporti tra Islam e Cattolicesimo?«Significa che i cattolici e i musulmani condividono una serie di valori fondamentali che servono alla convivenza pacifica, a una missione islamo cristiana, a una visione del mondo. Significa che queste due religioni non sono separate, ma interconnesse soprattutto sul piano dottrinale perché sono religioni che credono nell’unicità di Dio, e unite anche sul piano etico e morale. Il documento parla della piena cittadinanza, parla di cittadini uguali davanti alla legge e davanti allo Stato, condanna categoricamente la violenza, il terrorismo, l’uso abusivo del nome di Dio per giustificare l’esclusione e la violenza. Tutti questi sono valori di base che uniscono non solo i musulmani e i cattolici, mi sembra anche altre religioni e altri gruppi. La presenza del nome di Ahmad al Tayyeb in questa enciclica esprime l’affetto del Papa per questa persona e rappresenta la continuità e il legame che c’è tra l’enciclica e il documento per la Fratellanza Umana»

Come descriverebbe i rapporti in Italia tra Islam e le altre confessioni presenti sul territorio?

«L’Islam rappresenta una religione relativamente giovane in Italia, una presenza abbastanza recente diversamente da altri paesi europei, e fino adesso non c’è un’intesa tra Stato italiano e musulmani.

La comunità ha ricevuto in modo molto positivo il documento sulla fratellanza umana perché da dignità all’Islam e ai musulmani. È un documento che rappresenta un programma da realizzare e valori da condividere ed attualizzare. Vedo anche che la recezione islamica del documento è stata positiva perché c’è un vero bisogno di questo discorso».

Rimane problematica la presenza di moschee sul territorio?

«La problematica non riguarda solo le moschee, ci sono le carceri e l’accompagnamento spirituale dei detenuti: sappiamo che purtroppo il carcere rappresenta uno spazio di radicalizzazione. Lo stato è cosciente dell’esigenza vitale dei detenuti, che soffrono di tanti problemi, di avere un accompagnamento culturale e spirituale, che li aiuti ad uscire da una situazione precaria e fragile e trovare una nuova via e una nuova vita. Questo richiede preparazione e formazione. Manca in Italia una formazione locale dell’Imam, legata al contesto culturale italiano. Ci sono tante esigenze e bisogni che in modo collettivo si potrebbe provare a risolvere».

La situazione si sta evolvendo rispetto ai pregiudizi degli italiani verso la religione islamica?

«Sicuramente ci sono tante persone e associazioni che lavorano per il dialogo islamo cristiano a livello locale e nelle città quotidianamente, e spesso in modo silenzioso. Ci sono anche movimenti ecclesiastici impegnati in un dialogo in modo concreto; anche la Conferenza Episcopale Italiana fa tante cose in questo campo. Fino a che punto questo possa influenzare l’opinione pubblica ampia, non saprei dire: c’è ancora tanto da fare perché l’educazione al dialogo non è una cosa che si fa una volta e basta, è un lavoro continuo soprattutto nelle scuole e tra i giovani».

 

Foto via Pikist