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Fototessere 7: il sì di Dio più forte dei nostri no

Prosegue la serie di incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma e che ha visto finora i ritratti di Maria Paola RimoldiAnnapaola CarbonattoMatteo FerrariFulvio FerrarioGabriella Caramore e Vito Tambone: uomini e donne che hanno dei ruoli conosciuti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non avendo incarichi conosciuti ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi.

 

Studente universitario e al tempo stesso lavoratore, Andrea Demartini è nato nel 1992 a Sassari, dove vive. È appassionato di politica, pallacanestro e teologia. Cresciuto nel cattolicesimo per volere della madre (il padre è ateo), si è avvicinato al protestantesimo specialmente leggendo i libri del prof. Vittorio Subilia (1911-1988) e tutti i suoi sermoni, non solo quelli pubblicati, ma anche quelli inediti, custoditi nell’archivio della nostra Facoltà teologica. In una lettera privata Andrea Demartini mi scrive: «Ritengo che ancora oggi le sue [di Subilia] predicazioni mantengano una grande attualità». Entrato in rapporto con il pastore Emanuele Fiume grazie ai suoi sermoni diffusi in rete, dopo incontri e colloqui, è diventato membro della chiesa valdese di via IV Novembre, a Roma. È uno dei tanti protestanti italiani della Diaspora. È isolato, ma non solo; senza una chiesa vicina, ma non senza la “comunione dei santi”, di cui parla il Credo.

– Lei non è nato in una famiglia evangelica, né, all’inizio, è entrato in contatto con una chiesa evangelica. In che modo, dunque, e per quali vie, è giunto alla fede?

«Sono cresciuto nel cattolicesimo, da cui mi sono distanziato criticamente nel periodo liceale, pur mantenendo la fede. Per caso, all’università, mi sono imbattuto sui libri nel Protestantesimo e nella Chiesa valdese. All’inizio mi sono “formato” sui libri, partecipando al culto quando mi capitava di viaggiare in città in cui è presente una nostra chiesa. Nel 2019 poi, grazie alla disponibilità del past. Emanuele Fiume e della chiesa valdese di IV Novembre a Roma, sono stato ammesso come membro, pur rimanendo in Sardegna e potendo quindi frequentare solo occasionalmente il culto».

– Che cosa la convince di più nella figura storica di Gesù?

«Il suo anticonformismo e la sua fede. La vita, il ministero di Gesù sono lo specchio della sua predicazione: in lui la realtà di Dio irrompe nella storia, causa una frattura negli schemi socio-religiosi e annuncia la novità. Gesù ha praticato fedelmente la Parola che ha predicato e senza paura ha affrontato le conseguenze estreme che questo ha comportato. La sua fedeltà è il modello a cui la nostra deve aspirare».

 – Crede che sia più importante sottolineare l’umanità di Gesù o la sua divinità? «Credo debbano essere considerate insieme nella stessa misura. La salvezza e la speranza cristiane sono fondate sul fatto che Gesù sia Dio e Uomo. Non a caso le confessioni di fede più belle della Bibbia sono quelle che testimoniano questa unicità di Gesù: quella del centurione sotto la Croce, nel momento umano della morte, e quella di Tommaso davanti al Risorto che porta i segni della Passione». 

– Qual è, secondo lei, il «cuore» del messaggio cristiano? 

«Il fatto che davanti a un’umanità che fa di tutto per respingerlo, Dio risponda in maniera inaspettata in Gesù. Davanti al nostro “no”, c’è il “sì” efficace del perdono e della salvezza che Dio rivela nella Croce e nella Risurrezione di Gesù».

– Sulla base della sua esperienza, che cosa è stato decisivo (supponendo che lo si possa stabilire) per passare dall’incredulità o dall’agnosticismo a una fede confessante?

«Il fatto che il Signore abbia messo sul mio cammino una chiesa che confessa quanto forse meditavo nel cuore, senza essere in grado di esprimerlo. Da un fatto banale come una curiosità accademica, sono stato condotto verso una nuova realtà ecclesiale, alla lettura della Bibbia e alla presa di coscienza che Dio chiama nei modi e nei luoghi più inaspettati».

– Lei desidera comunicare ad altri la Sua esperienza di fede? Ci riesce? «Probabilmente non quanto vorrei. Rispondo volentieri a chi mi chiede chiarimenti o esprime curiosità sulla mia fede protestante, ma lascio sempre che sia l’interlocutore a prendere l’iniziativa».

– Che cosa pensa delle altre religioni? Hanno secondo lei un ruolo nel piano di Dio per l’umanità?

«La mia certezza è quella di Pietro in Atti 4, 12. Detto questo, Dio nella sua sovrana libertà può certo attribuire a chiunque un ruolo nel suo piano di salvezza».

– Ci sono tante chiese nel mondo. Lei ha scelto di entrare a far parte della Chiesa valdese. Perché?

«È stato un approdo naturale. Nella confessione di fede valdese, nella linea teologica e nell’impegno diaconale, nell’ecclesiologia riformata, mi sono sentito semplicemente nel posto giusto».

– Che cosa le piace della Chiesa valdese, e che cosa le piace meno o proprio non le piace?

«La predicazione, innanzitutto. Ho avuto il dono di aver conosciuto l’Evangelo di Gesù Cristo nella predicazione delle nostre chiese. Tutto il resto, dalle opere diaconali alle posizioni etico-sociali è frutto della predicazione. Il senso di accoglienza che posso sperimentare con tutti i fratelli e le sorelle con cui sono in contatto poi mi testimonia il senso della comunione in Cristo, anche nella lontananza. Se esiste una mia critica è che talvolta, anche involontariamente, proprio nella predicazione possa accadere che ci si vanti dei nostri, pur lodevoli, successi ecclesiastici, dimenticando che tutto quanto facciamo deve tendere a testimoniare non noi stessi, ma solo Dio e la sua Parola. È in fondo quella conversione a cui siamo chiamati ogni giorno, come singoli e come chiesa: ri-orientare sempre e ancora la nostra vita e la nostra predicazione in Cristo e solo in Lui».

– Lei si sente cristiano perché valdese o valdese perché cristiano? Cioè: in che rapporto stanno, in lei, il suo essere valdese e il suo essere cristiano?

«Sono valdese perché cristiano e protestante. La peculiarità valdese, con la sua storia tragica di fede e passione evangelica, che pure mi interessa molto, è però per me fondamentale in quanto rappresenta la possibilità di essere cristiani, protestanti e riformati in Italia».

– Lei, che abita a Sassari, è membro della chiesa valdese di Roma, via IV Novembre, perché, nella sua città, non c’è una comunità valdese. Ha mai pensato, o sperato, di suscitarla lei, con l’aiuto di Dio?

«Se, a Dio piacendo, ci fossero delle possibilità o un interesse in questo senso, sarei lieto di impegnarmi con il mio piccolo contributo affinché possa dar frutto».

– Non deve essere facile vivere “a distanza” la propria appartenenza ecclesiale. Che consigli darebbe a chi, in Italia (non sono certamente pochi), si trova in una situazione come la sua?

«Non è facile, perché la fede cristiana necessita di essere vissuta nella dimensione comunitaria, ma posso dire di aver sempre trovato supporto e accoglienza, oltre che nella comunità che mi ha accolto come membro, anche in tutte le persone con cui sono venuto a contatto nelle nostre chiese. Il mio consiglio è di non farsi spaventare dalle difficoltà oggettive della distanza, ma di perseverare, contattare un pastore o una pastora, e comunque seguire le sempre più numerose iniziative onlineche le nostre comunità mettono in campo, nella certezza che lo Spirito soffia dove vuole e la Parola di Dio è più forte di qualsiasi distanza».