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Le nostre storie, doni da condividere

Video sermoni, video studi biblici, video lezioni di scuola domenicale… e poi video riunioni, video seminari, video assemblee. In questi ultimi mesi ci siamo abituati a svolgere davanti allo schermo ogni sorta di attività, alcune interattive, altre di fruizione più passiva. Ma c’è un settore che attraverso il video, e non dall’emergenza Coronavirus ovviamente, ben prima, assume una valenza particolare: la testimonianza, di fede o di vita.

Chi insegna a scuola sa quanto questo strumento “antico” sia ancora efficace: chiamare un testimone a parlare di Shoah, di Resistenza, di bullismo o di un mestiere particolare vale più di dieci libri o spiegazioni. Oggi la tecnologia ci viene incontro, permette di preservare le voci di chi non c’è più, ma anche di diffondere a un uditorio più vasto un’esperienza che altrimenti avrebbe una portata limitata. Diffusa su Internet, magari su un sito dedicato, questa diventa quasi sconfinata. 

Un esempio che ci è vicino è quello della rubrica sul sito istituzionale della Chiesa valdese “I volti della fede”, e ce ne sono molti altri. Vogliamo parlare di uno in particolare, che arriva dal Regno Unito e che, senza avere la pretesa di svelare grandi verità o percorsi esemplari, ha raccolto un centinaio di brevi testimonianze assai intense e partecipate. 

Lo ha realizzato la Chiesa metodista inglese attraverso le proprie chiese locali e i circuiti, coinvolgendo due suoi team in particolare, che si occupano di fornire alle chiese strumenti e occasioni di evangelizzazione, apprendimento, sviluppo, il “Learning Network” ed Evangelism & Growth”. Due membri di quest’ultimo lavorano al Cliff College, l’altro soggetto coinvolto nel progetto, un istituto superiore di formazione teologica metodista (che offre percorsi pre- e post-laurea riconosciuti dall’Università di Manchester). Oggi frequentato da studenti “laici” o inseriti nei ruoli ecclesiastici di varie denominazioni, si trova nel piccolo borgo di Calver (poco più di 700 abitanti), a mezzora da Sheffield, e le sue origini risalgono agli anni Ottanta dell’Ottocento, quando il pastore metodista Thomas Champness cominciò a organizzare nella propria abitazione corsi di formazione per missionari ed evangelisti.

Non stupisce quindi l’impostazione di questo progetto, chiamato “The Story Project” (https://thestoryproject.org.uk), che fa della testimonianza personale il suo nucleo.

Le esperienze sono le più semplici e quotidiane, raccontano di alti e bassi della fede, di momenti di gioia ma anche di dolore, di lotta interiore, nell’idea che «le nostre storie sono doni da condividere». Si pongono come fonte di ispirazione affinché anche altri raccontino la loro storia.

Come si legge sul sito del progetto, «a volte si può avere l’impressione che le uniche storie che la Chiesa apprezza siano quelle di conversioni radicali da passati oscuri, e che più i dettagli sono sordidi e la conversione drammatica, meglio è. La realtà, ovviamente, è che la maggior parte delle nostre storie non sono così e a volte possiamo avere la sensazione di “non avere una storia”. Questo non potrebbe essere più lontano dalla verità. Le persone apprezzano le storie di persone come loro che nelle loro vite ordinarie incontrano la straordinarietà di Dio. The Story project intende dare valore a ogni tipo di storia, quella drammatica e quella ordinaria. Crediamo che tutte le storie siano importanti».

I centouno (per ora) protagonisti e protagoniste aprono il proprio cuore alla telecamera, e i loro volti rivelano età e provenienze diversissime: c’è Lucy, che racconta come Dio l’ha accompagnata nel difficile percorso verso la maternità; c’è il reverendo Mucha, arrivato dallo Zimbabwe pensando di stare in Europa solo pochi anni; c’è Fren, preoccupata per la sua comunità, che si chiede se il suo futuro darà nelle persone arrivate da altri paesi; ci sono Jamie e Sophie, che hanno scoperto la chiesa occupandosi di giovani e bambini; anche Samuel, 16 anni e da sempre nella chiesa, fa l’animatore, e racconta di quando ha cominciato a leggere ”davvero” la Bibbia ed è stata per lui una scoperta straordinaria; e c’è Richard, che ricorda quando si è reso conto che la sua vita era piena di un sacco di cose, ma erano cose materiali, che alla fine rappresentavano un fardello sempre più pesante, e Sue, che racconta di aver lasciato (con difficoltà) una vita e un lavoro agiati per stare vicina alla figlia che glielo aveva chiesto, e alla fine ha capito di aver trovato più di quanto aveva perso.

Piccole storie racchiuse in poco più di due minuti, in cui le pause, gli sguardi (diretti o distolti), hanno un peso non meno delle parole. Un esercizio di introspezione, ma anche di disciplina radiofonica tutt’altro che semplice! Provare per credere!