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Facoltà valdese. I “tre mobili” della testimonianza

Con la prolusione del 3 e il culto di apertura del 4 ottobre è stato inaugurato il 166° anno accademico alla Facoltà valdese di Teologia. «È per me una gioia potervi rivedere in tre dimensioni – ha esordito il vicedecano prof. Lothar Vogel –. In questo periodo di crisi, scaturita dall’esplosione del Covid-19, la Facoltà, come del resto altre realtà, ha dovuto affrontare diverse problematiche che hanno prodotto una riflessione e una conseguente apertura a certe novità a livello didattico. I corsi dello scorso semestre si sono svolti in modalità telematica, dando occasione di sperimentare l’utilità delle nuove tecnologie a servizio dello studio e della didattica». La prolusione, tenuta dal decano prof. Fulvio Ferrario, si inseriva e conclude un ciclo iniziato nel 2017, Cinquecentenario della Riforma: ogni docente ha riflettuto e esposto il significato della Riforma protestante nella cornice della propria disciplina. La cattedra e il pulpito. Il servizio teologico nella chiesa evangelica: questo il titolo della “conversazione” – così definita da. Ferrario – tenutasi nella chiesa valdese di piazza Cavour, nel rispetto delle norme anti-Covid vigenti e per permetterne la partecipazione a un pubblico più ampio.

Il cuore pulsante del discorso è stato: quale rapporto intercorre tra teologia accademica e predicazione? Muovendo dalle dure parole indirizzate dal teologo tedesco Adolf von Harnack, secondo cui alcuni teologi «disprezzano la teologia scientifica», al teologo svizzero Karl Barth, eminente esponente della “teologia della parola”, il decano ha tratteggiato lo statuto e le caratteristiche della teologia come scienza e il suo ruolo nell’annuncio kerygmatico. In questo mondo in continua trasformazione, sempre più secolarizzato, dove si colloca la Facoltà valdese di Teologia? Essa è un’università ecclesiastica, influenzata dalla teologia mitteleuropea; collocata nel Vecchio Continente, il più secolarizzato del globo, nell’Italia del XXI secolo in cui l’interlocutore principale rimane la chiesa cattolica romana. La specificità delle accademie evangeliche risiede nella necessità di formare alla predicazione e i grandi personaggi della Riforma recepirono il più importante impulso dell’Umanesimo: il ritorno ad fontes dell’antichità classica greca e latina. Questo ritorno significava, primariamente, studio delle lingue classiche: ebraico e greco, insieme al latino, la lingua per la comunicazione internazionale. Prima conseguenza fu lo sviluppo dell’esegesi dei testi biblici: il teologo è esegeta. Il lavoro e lo sforzo esegetico sono in rapporto costitutivo con quel che viene chiamata Parola di Dio.

La teologia ha attraversato diverse crisi, tra cui quella imposta dal metodo storico critico. La Bibbia inizia a essere analizzata come un documento storico. Domanda: in che rapporto sta questo documento criticamente investigabile con la Parola del Signore? Le chiese della Riforma hanno raccolto la sfida: la critica biblica non è affatto «adeguamento al presente secolo», bensì sottolinea «l’obbedienza alla fede della chiesa sulla vera umanità di Gesù». Gesù di Nazareth è tutto uomo, soggetto storico criticamente investigabile. Teologia critica e teologia ecclesiale sono costitutivamente intrecciate. La dogmatica è nella sua specificità esegesi radicale: va alla radice del testo biblico per la sua comprensione e predicazione. Perciò l’esegesi è al servizio della teologia, la cui vocazione è l’annuncio del Cristo. Quanto detto può essere esemplificato nella figura dell’esegeta e teologo Rudolf Bultmann: il suo essere scienziato, esegeta e teologo era volto alla rimozione dello “scandalo falso” della frequente incomprensione del testo biblico, per far risplendere lo “scandalo vero”, l’Evangelo di Gesù Cristo.

In Bultmann, osiamo dire, vengono riconciliate le posizioni contrapposte di Harnack e Barth. La teologia è costitutivamente scientifica e critica, indirizzata al ministero della chiesa, ministero che svolge con e nella fede. Il decano ha potuto concludere con le parole di un discepolo di Bultmann, Ernst Fuchs: «Il metodo storico-critico di interpretazione del Nuovo Testamento ha svolto il suo servizio quando dal testo scaturisce l’impossibilità di non predicare sul testo», consegnandole agli e alle studenti come viatico per il nuovo anno accademico, durante il quale sperimentare l’unione tra cattedra e pulpito.

A questi due “mobili”, il prof. Yann Redalié – predicatore nel culto di apertura – ne vuole aggiungere un altro. Partendo da Mc 7, 24-31, la guarigione da parte di Gesù della figlia della donna sirofenicia, la predicazione si è mossa su un primo livello: l’intrusione. Gesù è un intruso in territorio pagano; la donna è un’intrusa nella casa dove Gesù risiede; il demone che affligge la figlia della donna è un intruso nella vita della fanciulla. Alla richiesta della donna, Gesù risponde con parole durissime, che sulla sua bocca fanno proprio male. Si tratta di un ritornello che oggi sentiamo un po’ troppo spesso: ”prima questi… poi quelli”. La donna, invece di andare via avvilita e offesa, rielabora le parole di Gesù con calma e intelligenza, sovvertendo le categorie spaziali rappresentati dai figli/Israele che mangiano al tavolo il pane/misericordia di Dio e i cani/stranieri. La donna della pericope marciana è una esegeta: la sua ermeneutica è potente a tal punto da sovvertire ogni schema, ogni etichetta e ogni possibile confine. Non è Gesù che proferisce la parola di guarigione, bensì una donna, una straniera, una dei tanti “cagnolini” che si nutrono delle briciole dell’amore di Dio. Quella donna invita Gesù a riconsiderare un tipo particolare di relazione con Dio: quella “da sotto il tavolo”. Questo è il “terzo mobile”: da cui una visione aperta all’accoglienza dell’intruso, dell’altro-da-sé. Lutero, in un sermone quaresimale del 1525, invitava a seguire l’esempio di quella donna, vivente nelle pagine del Nuovo Testamento a quasi duemila anni dall’evento: con perseveranza e fiducia, ciascuna e ciascuno si affidi a Dio anche quando sembra non ascolti, ognuno colga la profondità del “sì” di Dio nascosto in un apparente “no”.