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Ritorno in classe

Il 14 settembre riaprirà la scuola: con Giovanni Borgarello, pedagogista, assessore all’Istruzione al comune di Torre Pellice, abbiamo cercato di analizzare la situazione, ancora molto complessa.

– A settembre si prospetta il ritorno a scuola: quanto è importante nel percorso educativo lo stare insieme?

«È un fatto di grandissima importanza, atteso tra paura e desiderio dai bambini e dalle famiglie, ma in generale da tutti noi cittadini, che segnerà come poche altre cose l’effettiva ripartenza del nostro Paese. Non tanto il ritorno alla normalità, come se nulla fosse accaduto e si potesse riprendere come prima. L’epidemia ha infranto molte certezze. Inoltre, dovremmo convivere con questa epidemia (e forse in futuro con esperienze analoghe) probabilmente ancora per un tempo lungo. Ma da ora in avanti dovremo sviluppare profonde riflessioni su chi vogliamo essere. Siamo all’inizio di tante trasformazioni piccole e grandi nell’economia, nella società, nella sanità, ecc. Anche la scuola non sarà più la stessa e i bambini e i ragazzi al rientro si confronteranno con molte novità rispetto a sei mesi fa. Non necessariamente tutte negative.

Un primo fondamentale elemento di riflessione, di ri-scoperta da parte della scuola dei suoi “fondamentali”: si apprende solo nella relazione, grazie alla relazione e attraverso la relazione. La dimensione relazionale è fondamentale per crescere e per imparare. Certo anche la didattica a distanza implica in qualche modo relazione (nei mesi di chiusura dell’asilo nido, a esempio, sono state portate avanti molte attività a distanza con i bimbi, i cui volti si illuminavano quando vedevano comparire sullo schermo i propri amici e le proprie educatrici, allungando le manine come per poterli toccare), ma quello che contano sono le interazioni con i pari e con gli adulti, la possibilità di esprimere domande e trovare risposte, di indagare la realtà. È fondamentale “apprendere dall’esperienza”, che non vuol dire soltanto imparare facendo, ma facendo con altri, costruendo conoscenze e un discorso comuni, nel confronto con le conoscenze e i linguaggi socialmente validati, facendo errori e imparando da essi, ristrutturando via via sé stessi in profondità. Nei mesi di lockdown i bambini e i ragazzi hanno sofferto e c’è da attendersi che gli effetti di questa dura esperienza si facciano sentire nei comportamenti, nel modo di essere, di sentire e di agire. È necessario predisporre un inizio di scuola in cui sia possibile, per bambini e ragazzi, rielaborare l’esperienza di questi mesi, le paure, le difficoltà, oltrechè gli inevitabili ritardi di apprendimento che si sono accumulati. È questo è innanzitutto un compito collettivo, prima ancora che individuale».

– Anche se perfezionata la didattica a distanza (Dad) potrà sostituire quella in aula?

«Sulla base di quanto ho appena detto la risposta non può che essere no. Ciò nonostante è molto importante riflettere su come qualificare la Dad. E non solo perché in alcuni casi il ricorso a essa sarà comunque obbligato (a es., la quarantena di una classe o l’impossibilità di tenere unito il gruppo classe come in molti casi di scuola secondaria di secondo grado). Il punto è questo: si può fare Dad in molti modi, dipende da quale concezione di scuola si vuole praticare. Gli insegnanti che sono abituati a fare una scuola trasmissiva – quella basata su lezione frontale, compiti, interrogazioni – nei mesi di lockdown hanno riproposto una Dad anch’essa trasmissiva. Si tratta invece di sperimentare anche in Dad delle modalità di didattica attiva, che rendano protagonisti i bambini e i ragazzi. Sono in corso esperienze e elaborazioni in questo senso in molte parti d’Italia».

– Quale ruolo può avere il rapporto scuola/territorio?

«Anche il modo di fare scuola in presenza può trovare nella ripartenza ragioni per cambiare. Si potrebbe, a esempio, superare la chiusura nelle aule per sperimentare modalità di scuola all’aperto. Non solo perché in questo periodo è più sicuro stare fuori che dentro, ma anche e soprattutto perché è a contatto con le cose che si può sviluppare quell’“apprendere dall’esperienza” di cui parlavo prima. Nel far questo la scuola può trovare alleati sul territorio. In questi giorni sono in corso le “Conferenze di servizio” previste dalle Linee guida ministeriali, che vedono impegnati allo stesso tavolo insegnanti, genitori, enti locali, vari soggetti operanti nel territorio. Uno degli esiti attesi è la condivisione di un Patto educativo comunitario in cui per l’appunto vengano individuati spazi e azioni da sviluppare insieme tra insegnanti e soggetti territoriali, in esterno e all’esterno dell’edificio scolastico. Questo patto tra scuola e territorio, questa volontà e capacità di affrontare insieme i problemi (non solo quelli già importanti della mensa, dei trasporti, dell’accesso, delle sicurezza e sanificazione, della strutturazione degli spazi, delle dotazioni digitali, ecc.) mettendo al centro questo bene inestimabile che sono l’educazione e la scuola, questa sperimentazione di una scuola più outdoor e più attiva possono rappresentare un lascito positivo e forse inatteso di questa dura esperienza a cui ci costringe l’epidemia da Cov 19».

– La questione delle regole, del loro rispetto, che a volte varia tra casa e luoghi pubblici, può riflettersi sull’educazione di questa generazione di giovani?

«Le regole richiedono anch’esse una certa coerenza e armonizzazione tra ambienti pubblici, ambienti educativi e ambienti famigliari. Come dice il filosofo polacco Kolakowski, “le virtù si apprendono in ambienti dove esse vengono praticate”. Riflettere sul senso delle regole e sulla necessità di rispettarle è un percorso che può essere condiviso tra scuola, bambini, famiglie, cittadini. In questo senso può rappresentare un momento importante la condivisione del Patto di corresponsabilità previsto dalle Linee guida. Se riusciremo tutti insieme a sviluppare una riflessione collettiva di questo tipo è probabile che i nostri bambini e ragazzi cresceranno più consapevoli e cittadini migliori».