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Alassio e Carcare condannate in appello: «Ordinanze discriminatorie»

Era il 2015 quando il comune di Alassio, seguito a stretto giro da quello di Carcare, emanava un’ordinanza comunale con la quale vietava a «persone prive di fissa dimora, provenienti da paesi dell’area africana, asiatica e sud-americana, se non in possesso di regolare certificato sanitario attestante la negatività da malattie infettive trasmissibili, di insediarsi anche occasionalmente nel territorio comunale».

Un atto politico che, sotto le mentite spoglie di una preoccupazione di carattere sanitario, cavalcava l’onda della xenofobia e non passava inosservata a chi, da anni, si batte per la giustizia e per i diritti dei migranti, in questo caso clamorosamente calpestati. E così le Associazioni ARCI, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), Avvocato di Strada ONLUS e la Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro ONLUS avevano presentato ricorso presso il Tribunale di Genova impugnando le suddette ordinanze. Tribunale che già nel 2017 le aveva giudicate ingiustificate e discriminatorie e ne aveva imposto il ritiro immediato da parte delle due amministrazioni liguri.

Una sentenza alla quale i comuni di Alassio e Carcare non si erano però rassegnati: di qui la decisione di ricorrere in appello nella speranza di veder ribaltata la sentenza di primo grado. Tuttavia lo scorso 26 agosto la Corte d’Appello di Genova ha confermato il giudizio del tribunale e sottolineato il fine discriminatorio delle ordinanze, oltre al carattere profondamente illogico delle stesse. «Una sentenza che mette in luce almeno due importanti fattori – spiega Alberto Guariso, legale di ASGI – In primo luogo evidenzia un fenomeno purtroppo ancora diffuso per il quale determinate amministrazioni, per spingersi nella logica anti-immigrazione, adottano provvedimenti che dal punto di vista della correttezza amministrativa risultano totalmente illogici. Risulta infatti piuttosto difficile immaginare che gli immigrati in questione, per lo più senza fissa dimora, possano sostenere una serie di esami costosi soltanto per dimostrare di essere sani».

In secondo luogo, la sentenza d’appello conferma e rafforza il giudizio di primo grado relativo alla finalità discriminatoria stabilendo che «le ordinanze rendono evidente lo scopo di discriminare le persone di nazionalità dei paesi del Terzo Mondo raggruppate nell’indicazione di tre continenti». «La sentenza d’appello sottolinea in modo ancora più netto l’intenzionalità discriminatoria che caratterizza questo tipo di ordinanze – spiega Guariso – sottolineando come un diritto di libertà o di parità di trattamento venga così negato in ragione della nazionalità o dell’etnia del soggetto in assenza di serie e comprovate situazioni di pericolo ed eccezionalità».

Più in generale, la sentenza ligure ha il merito di affermare un diritto inalienabile come la libertà di movimento ed evidenzia come la giurisprudenza rappresenti uno strumento indispensabile di giustizia laddove spesso la politica, a scopo meramente propagandistico, tende a oscurare l’esercizio di diritti fondamentali «Abbiamo un apparato normativo di riferimento che contiene importanti elementi di tutela dei principi di uguaglianza, a partire dalla Costituzione per arrivare al Testo Unico sull’Immigrazione del 1998 che ancora regola questo tipo di cause», conclude il legale di ASGI. «La legge dovrebbe essere lo specchio di una cultura diffusa, ma troppo spesso questo tipo di cause diventa ragione di conflitto invece di rappresentare la base per ripartire verso un grado più elevato di coesione sociale».