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22 anni di Google e di profilazione delle nostre vite

E’ il 4 settembre del 1998 quando Larry Page e Sergey Brin, studenti all’Università di Stanford, inventano e fondano Google. Un motore di ricerca per internet nato da un’analisi matematica delle relazioni tra i siti web. Un prototipo era stato presentato l’anno precedente. 

Nel giro di pochi anni Google diventa il sito più visitato al mondo e l’azienda, oltre a occuparsi della catalogazione e indicizzazione delle risorse della rete, sviluppa servizi di e-mail, shopping online, traduzioni, video, foto, mappe, notizie, blogging, social network e lettura digitale.

Ma prima di Google la ricerca di dati passava attraverso AltaVista, realizzato dalla Digital Corporation (Dec) nei laboratori Palo Alto, in California, il 15 dicembre del 1995 con un successo davvero strepitoso: in un solo anno raggiunse i 25 milioni di utenti al mese!

AltaVista cambiò radicalmente il modo di cercare siti, fino ad allora infatti si usavano soprattutto le directory, cioè enormi elenchi di siti divisi per categoria, ma con l’arrivo dell’innovativo motore di ricerca per la prima volta si ebbe un’interfaccia di ricerca libera.

Oggi dopo 22 anni e in pena era digitale, e dove i motori di ricerca si sono ormai moltiplicati a dismisura, sorge una domanda: che fine ha fatto la nostra privacy. E se esiste ancora è in qualche modo tutelata?

Nel 2004, l’allora Garante per la Privacy, il professor Stefano Rodotà, nella sua relazione annuale ammoniva: «Emerge un legame profondo tra libertà, eguaglianza, democrazia, dignità e privacy, che ci impone di guardare a quest’ultima al di là della sua storica definizione come diritto ad essere lasciato solo. Senza una forte tutela delle loro informazioni, le persone rischiano sempre di più d’essere discriminate per le loro opinioni, credenze religiose, condizioni di salute: la privacy si presenta così come un elemento fondamentale della società dell’eguaglianza. Senza una forte tutela dei dati riguardanti i loro rapporti con le istituzioni o l’appartenenza a partiti, sindacati, associazioni, movimenti, i cittadini rischiano d’essere esclusi dai processi democratici: così la privacy diventa una condizione essenziale per essere inclusi nella società della partecipazione. Senza una forte tutela del “corpo elettronico”, dell’insieme delle informazioni raccolte sul nostro conto, la stessa libertà personale è in pericolo e si rafforzano le spinte verso la costruzione di una società della sorveglianza, della classificazione, della selezione sociale: diventa così evidente che la privacy è uno strumento necessario per salvaguardare la società della libertà. 

Senza una resistenza continua – chiosava Rodotà – alle micro-violazioni, ai controlli continui, capillari, oppressivi o invisibili che invadono la stessa vita quotidiana, ci ritroviamo nudi e deboli di fronte a poteri pubblici e privati: la privacy si specifica così come una componente ineliminabile della società della dignità».

E proseguiva «Le maglie dei sistemi di controllo basati sulla continua raccolta di informazioni personali sembrano farsi sempre più strette. Si tratta di una vicenda che il Garante ha sempre analizzato e seguito nelle sue manifestazioni più significative. Possiamo ben dire d’essere stati i primi in Italia a richiamare l’attenzione su temi come la videosorveglianza, la conservazione dei dati del traffico telefonico, i dati genetici, l’inserimento nel corpo di chip elettronici. 

Allarmi ingiustificati, forzature catastrofistiche?».

A voi l’ardua sentenza…. 

E per chi lo utilizza: buon Google a tutte e tutti!