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Quale predicazione per costruire la speranza?

Divisa fra mattina e pomeriggio, come d’altra parte consuetudine in occasione delle sessioni sinodali di ogni anno, la Giornata Miegge ha visto nella sua prima parte gli interventi del decano della Facoltà valdese di Teologia Fulvio Ferrario, della pastora Corinne Lanoir, docente di Teologia all’Università di Parigi e del pastore battista Angelo Reginato, intorno al tema generale «Predicazione e vita: quale incontro? Predicazione per costruire speranze». Il titolo – ha detto Davide Rosso, direttore del Centro culturale valdese – era stato pensato prima della pandemia, ma si è deciso di mantenerlo: cambiato il contesto, ci si è trovati di fronte a un’altra quotidianità. Con l’Assemblea degli iscritti a ruolo della Tavola valdese, dunque, che è co-organizzatrice dell’evento, si cercato di capire la reazione avuta da teologia e cura pastorale in seguito all’emergenza Covid. Da qui le domande di partenza: sono cambiati gli approcci all’“essere comunità”? Ed è cambiato il pubblico a cui le chiese hanno cominciato a rivolgersi?

Corinne Lanoir è intervenuta sul tema specifico «Dall’esegesi alla predicazione. Rileggere una letteratura di crisi in un altro momento di crisi». L’idea più antica di crisi – ha detto –, quella greca, ci indica un momento in cui si fanno delle scelte, trovandoci obbligati a giudicare e analizzare i fatti, per capire che cosa ci succede. AT e NT sono essi stessi letteratura di crisi: la storia del popolo di Dio è segnata da crisi che provocano grandi cambiamenti, a partire dal passaggio da una realtà di società tribale alla monarchia, con un Dio unico per tutta la nazione; e via dicendo. In queste situazioni si confrontano le diverse proposte teologiche per definire l’identità del popolo e la relazione con il suo Dio. Racconti lungo i quali percepiamo il modo in cui cambiano gli scenari. In riferimento alla pandemia, siamo chiamati a rileggere testi antichi nella nostra crisi, e così scopriamo che stanno riemergendo vecchi miti, i concetti di puro/impuro, c’è chi esagera dicendo addirittura che il virus peggiore è il peccato… A tutto questo bisogna resistere. Ci si chiede chi sia degno di vivere… Di fronte all’emergenza – è stata la seconda parte della relazione –, è però necessario pensare anche a un futuro più in là, a prospettive. Cercare di discernere e interpretare, come facevano i profeti. E poi ancora serve una nuova relazione con il corpo, imparare a morire e ad accompagnare chi vi è prossimo. Occorre sapere ascoltare la rabbia e non pretendere che tutti siano sempre ben disposti ad ascoltare un messaggio. Ascolto e tenerezza servono più del moralismo, serve costruire nuove alleanze nell’ascolto, non dimenticando che rimaniamo sempre un “popolo errante”.

Ferrario si è intrattenuto sulla predicazione elettronica, da non-esperto come si è definito, con alcune riflessioni che collega all’esperienza fatta dei culti telematici. «Da dogmatico – ha detto – non riesco a vedere ragioni teologiche tali che impediscano di vedere nella predicazione tecnologica la presenza dello Spirito Santo: è fuorviante dunque definir virtuale tale pratica. La presenza dello Spirito dobbiamo riceverla come un dono, non è una garanzia». È comunque la Parola predicata a creare la comunità: e anche quella a distanza non è comunità virtuale, benché articolata in modo diverso. Inoltre, la fede evangelica, centrata sulla Parola e non sulla sacramentalità, è reale: il cristianesimo ha un carattere verbatus (Lutero) che attribuisce tale aggettivo addirittura a Dio. Una questione ulteriore è quella sacramentale della cena: si è sviluppato un grande dibattito internazionale sulla possibilità di celebrarla per via telematica. «Sono contrario – ha detto il decano –: la dimensione della fisicità è integrante della Cena del Signore»; e l’assenza della cena segnala che il culto telematico non è autosufficiente e non sostituisce il culto in presenza. La predicazione per via telematica non pone problemi troppo diversi da quella radiofonica o televisiva: certo il sermone potrebbe essere diverso e fin dalla Riforma si praticavano altre modalità, per esempio la predicazione per tema. C’è spazio dunque per molte forme di sermone, e alcune forse sono più utili alla telematica che alla “presenza”. Però una cosa salta all’occhio, ed è la nostra debolezza liturgica: facciamo fatica a dedicare alla liturgia la stessa attenzione che dedichiamo alla predicazione, nonostante la ricca produzione di materiali a disposizione.

Ripensare la salvezza alla scuola della Sapienza era il tema affrontato da Angelo Reginato, che ha detto di aver fatto l’esperienza, con la pandemia, di trovarsi di fronte a una Parola che sosteneva, ma che per molti era e rimaneva pur sempre irrilevante. Il pulpito risulta muto anche per chi avrebbe una pratica consolidata di ascolto, la Parola “detta” fatica a esprimere significato per tante persone: perché? È una situazione simile a quella in cui sono sorti gli scritti sapienziali. Le parole precedenti (la Torah e i profeti) non “significavano più”; la sapienza vuol fare emergere dal basso, dall’esperienza la stessa parola, costitutiva dell’Alleanza. Pensiamo allora alle piccole ore del vissuto quotidiano, torniamo all’elementare della vita, interroghiamolo e vediamo se da qui può emergere questo vissuto biblico, vissuto con sapienza. Forse oggi per creare quel raccordo dovremmo usare questa postura sapienziale, che peraltro è anche nel Nuovo Testamento. L’esempio portato dal relatore è stato quello di Gesù che cammina sulle acque. Miracolo, certo, manifestazione della sua divinità; sì, ma non solo. In quel brano il simbolismo fondamentale è quello delle acque. Si tratta di scoprire la sapienza della crisi, convivere con il male.

Avere una postura sapienziale significa: prova a leggere il tuo quotidiano con uno sguardo differente, che non lo banalizzi. Ci aiuterebbe a rileggere l’evangelo in un oggi che ci chiede uno sguardo per una umanità che non vede più grandi orizzonti e scenari di trasformazione sociale davanti a noi. Riusciremo a trovare strumenti affinché le parole ridiventino parabole?

Il breve dibattito successivo è stato attinente soprattutto alla celebrazione della Santa Cena: le modalità che sono state svolte “a distanza” ci portano a interrogarci su questioni che forse avevamo accantonato, speriamo solo provvisoriamente.