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Femminile è plurale

«Tante donne, anche all’interno delle nostre comunità di chiese, subiscono violenze. Dobbiamo aprire gli occhi», ha ricordato Dora Bognandi, già presidente della Federazione donne evangeliche (Fdei) che ha moderato (e portato il saluto della presidente Gabriela Lio,) l’incontro di ieri pomeriggio, martedì 25 agosto, presso la Casa valdese e dal titolo: «Formazione e impegno per la salute delle donne».

Un focus dedicato all’universo femminile e volutamente dedicato alle implicazioni, sociali, umane e etiche della recente pandemia. Un incontro che ha visto alternarsi sul palco tante responsabili di chiese e di progetti sociali. 

«Alcune chiese hanno lavorato tanto in questi anni – ha ricordato Bognandi – in prima linea per approfondire in modo interdisciplinare la questione della violenza genere. Altre, invece, hanno difficoltà ad affrontare la questione. Un fatto – prosegue Bognandi – che ci dice chiaramente quanto ancora ci sia da fare e che oltre all’impegno serve formazione, direi, una “pastorale ad hoc” per affrontare il tema della violenza contro le donne».  Bognandi ha poi letto il messaggio della responsabile del Segretariato attività ecumeniche (Sae) e dell’Osservatorio interreligioso sulla violenza sulle donne di Bologna Paola Cavallari, inviato alle partecipanti dell’incontro e incentrato sul tema della giornata, la salute e la cura delle donne «molto caro alla donne evangeliche», ha chiosato Bognandi, «salute intesa come cura, come shalom, come ordine, come pienezza, compiutezza». 

Essere in salute vuol dire stare bene, ma come si può star bene in tempo di Covid? Un tempo che ha recluso in casa e per interi mesi famiglie, singoli individui, anziani, persone con disabilità, bambini e tante donne che, in quelle case, che sarebbero dovute essere rifugi domestici, sono diventate luoghi di sofferenza e di continue violenze fisiche e psicologiche?

«Le donne della Fdei da tempo lavorano per valorizzare le donne e il loro ruolo in una società intrisa di retaggi patriarcali e sessisti» è stato ribadito.

Tra le iniziative da ricordare messe in atto dalle donne evangeliche c’è certamente l’appello nato per contrastare la violenza sulle donne promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e dalla Conferenza episcopale italiana (Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo) firmato dai responsabili evangelici, ortodossi e cattolici al Senato della Repubblica il 9 marzo 2015. 

«L’orgoglio onnipotente – ha ricordato Gabriella Rustici, storica e predicatrice della chiesa valdese di Siena – certamente non aiuta nessuno a star meglio. La pandemia ha mostrato a tutti noi quanto siamo fragili, donne e uomini. Oggi sono certamente due gli estremi che si rincorrono: da una parte l’eccesso di fiducia e la spasmodica pretesa di guarigione e dall’altra la totale sfiducia nella scienza e dunque nell’uomo. A molte donne il lock-downnon ha regalato riposo, come qualcuno erroneamente e ostinatamente afferma. Al contrario, quel periodo per tante donne è stato un calvario, una ulteriore prova da superare, e malgrado questo le donne anche in quell’occasione sono state protagoniste e registe indispensabili sia nel lavoro, sia nella famiglia».

Un video importante è stato mostrato alle e ai presenti all’incontro di ieri, inviato da Cordelia Vitiello (presidente della Fondazione evangelica betania) e nel quale è emerso con evidenza quanto le donne siano state protagoniste nei luoghi di lavoro. Nel video in particolar modo si è parlato dell’esperienza dell’Ospedale di Villa Betania e che recentemente ha ricevuto il “bollino rosa”, riconoscimento per la sua particolare cura declinata al femminile e per i percorsi di salute, resi gratuiti per tutti. 

Un impegno identico a quello dell’Ospedale di Genova, ha ricordato Barbara Oliveri (presidente dell’ospedale evangelico internazionale – Oei) esprimendo una nota polemica, «Anche in tempo d’emergenza le task force sono quasi sempre gestite da uomini. Tuttavia, le donne sono state le più attive nella lotta al virus», ha chiosato ricordando che il 70% del personale sanitario è donna. Ribaltando anche un dato erroneamente diffuso: «Le donne si sono ammalate molto più degli uomini, seppur con una mortalità inferiore. L’ospedale evangelico di Genova ha assunto un ruolo, suo malgrado, di vero protagonista. Infatti, è stato il primo Covid Hospital della Regione curando più di 200 malati perché contagiati dal virus. 

«Il mio pensiero riconoscente va al personale – ha proseguito Oliveri –, le nostre operatrici, le dottoresse, le infermiere, da declinare anche al maschile, che hanno dovuto fronteggiare situazioni non facili. Questa malattia, come stiamo osservando, causa danni fisici e psicologici seri, danni che potremo valutare sino in fondo solo nel futuro». 

Silvia Lorenzino (vice presidente del servizio “Emma”), un progetto sostenuto dall’Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi che «mette la donna al centro» ha detto Lorenzino «riesce a far emergere un tema difficile, renderlo chiaro anche a chi spesso non si interroga, aiutando le donne che sono sopravvissute alle violenze. Un problema che ci sembra lontano e che invece vive intorno a noi e può arrivare ad aggredire la nostra stessa pelle», per questo l’attenzione non deve mai calare.

Manuela Castaldo dell’Esercito della Salvezza, ha ricordato che «Nel solo 2016 erano 120mila le vittime per sfruttamento sessuale e il Canada è attualmente il paese con il più alto numero di vittime di Tratta. Il 45% degli uomini in Italia “richiede” sesso a pagamento. Nelle chiese – ha proseguito Castaldo – c’è ancora imbarazzo a parlare di queste cose, per questo abbiamo attivato una Campagna di sensibilizzazione per contrastare il fenomeno della prostituzione. Il progetto porta il nome di “Semaforo verde”. Un progetto di aiuto alle donne e alle vittime di tratta». 

La tratta, ha ricordato ancora Castaldo «prospera nel buio, come la muffa; prospera dove c’è isolamento. L’Italia di oggi, purtroppo, non è solo il più grande paese di transito della tratta, ma anche il paese dove ha la sua origine con numeri di prestazioni richieste molto elevati». 

Tra le tante donne all’incontro di ieri, anche un uomo, Beppe Pavan, membro della rete di Uomini in cammino e di Maschile plurale. 

«Gli uomini spesso non si interrogano su ciò che sono, su ciò che fanno, su come noi lo facciamo. Siamo pochi, se presi nella moltitudine. Noi – ha proseguito Pavan – abbiamo preso coscienza di dover fare un percorso coraggioso, abbiamo deciso di metterci in discussione. Abbiamo deciso di intraprendere un cammino importante: quello della prevenzione, della relazione attraverso la parola, dell’azione concreta, dello scambio, del confronto tra di noi in relazione con l’universo femminile. Di stare nelle relazioni con cura e con rispetto. Non è facile per alcuni, ma si può imparare. Si può imparare se qualcuno lo insegna. Per questo è importante investire nell’educazione, nella scuola, nelle università. Solo così sarà possibile formare educatori consapevoli e capaci. Dobbiamo diventare noi stessi modelli per gli altri, per i nostro figli. Le relazioni devono essere vissute nel benessere, nella salute. Questo, come uomini, cerchiamo di fare». 

Maschile plurale è un’associazione nata a Roma nel 2007 e si impegna da anni in riflessioni e pratiche di ridefinizione della identità maschile, plurale e critica verso il modello patriarcale, anche in relazione positiva con il movimento delle donne. Stesso percorso portato avanti dal gruppo di Pinerolo (To): Uomini in cammino.

Susanna D’amore, la responsabile dell’area scuola della diaconia valdese ha chiuso la serie di interventi: «Abbiamo guardato il mondo da un oblò nei mesi del lock-down, come se fossimo chiusi dentro una nave in movimento. Ma l’oblò è anche quello della lavatrice, dal quale vediamo la biancheria fresca, lavata ma anche frullata. Una sensazione di stropicciamento che molti di noi hanno provato e dalla quale ancora non siamo usciti». Per superare questo senso di disagio, come Diaconia valdese abbiamo deciso di «stare ancora più vicini del solito alle persone vulnerabili, agli studenti, ai docenti, promuovendo momenti di incontro, allargando la nostra consulenza a chi ne aveva più bisogno. Grazie ai nostri sportelli di ascolto. La partecipazione è stata davvero ampia, soprattutto quella femminile».