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Piana di Gioia Tauro, chiusura della tendopoli: quali alternative per i braccianti?

«L’amministrazione comunale comunica ai signori ospiti che sono in atto le procedure di chiusura definitiva della tendopoli […]. I signori ospiti sono pertanto invitati ad individuare una nuova e diversa soluzione abitativa».

Così, con un volantino diffuso il 24 luglio tra i braccianti agricoli ancora presenti, il Comune di San Ferdinando ha comunicato l’ormai prossima operazione di smantellamento della tendopoli ministeriale nata per accogliere i lavoratori agricoli sfruttati nelle campagne della Piana di Gioia Tauro. Allestita nel marzo 2019, in seguito all’imponente operazione di sgombero voluta dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, la tendopoli ha ospitato ufficialmente, nei mesi di picco della raccolta agrumicola, oltre 400 braccianti al giorno (ma le presenze reali raggiungevano anche le 1000 persone) in condizioni igienico-sanitarie precarie e, durante i mesi dell’emergenza sanitaria da Covid-19, in assenza di qualsivoglia iniziativa istituzionale di prevenzione e screening sanitario. E d’altra parte le associazioni e i sindacati presenti nella Piana chiedono da anni alle istituzioni locali e nazionali un piano organico e interistituzionale per il contrasto dello sfruttamento lavorativo e l’inclusione socio-abitativa dei braccianti in un territorio ad alto tasso di spopolamento.

Come è stato più volte messo in luce dalle diverse associazioni firmatarie e dal recente rapporto pubblicato da Medu – “La pandemia di Rosarno” – i lavoratori stagionali che si riversano nella Piana per la raccolta agrumicola sono giovani uomini con un’età media di 30 anni e nel 90% dei casi con un regolare permesso di soggiorno. La marginalità sociale e le precarie condizioni abitative in cui sono costretti a vivere sono la conseguenza del grave sfruttamento lavorativo a cui sono sottoposti. Basti pensare che i due terzi dei braccianti assistiti nel 2019 hanno dichiarato di essere in possesso di un contratto di lavoro ma solo uno su dieci riceve una regolare busta paga. La paga giornaliera, in tutti i casi, si aggira tra i 25 e i 35 euro e quasi tutti i lavoratori incontrati si vedono riconosciuti i contributi per un numero di giornate molto inferiore rispetto a quelle svolte. Il superamento della vergogna dei ghetti può avvenire soltanto a partire dal contrasto dello sfruttamento lavorativo, attraverso l’adozione di misure sistemiche, non più procrastinabili.
Le associazioni firmatarie* chiedono quali alternative abitative siano previste per queste persone che inevitabilmente torneranno a riversarsi sul territorio nella prossima stagione di raccolta agrumicola, come accade da oltre dieci anni. Un ennesimo trasferimento presso i centri di prima e seconda accoglienza (CAS e SPRAR), già tentato all’indomani dello sgombero di marzo e dimostratosi del tutto fallimentare, rappresenterebbe un’ennesima occasione persa e un inutile costo per la collettività. Le associazioni chiedono che vengano indicate le misure che le istituzioni intendono mettere in atto per contrastare con forza lo sfruttamento e per promuovere finalmente condizioni di vita e di lavoro dignitose per i braccianti stranieri e per gli abitanti della Piana.

*Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI

MEDU – Medici per i diritti umani

Sos Rosarno