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Esce in Italia una nuova Bibbia delle donne

È uscita da pochi giorni la traduzione della nuova Bibbia delle donne curata da Élisabeth Parmentier e Lauriane Savoy, teologhe dell’Università di Ginevra, e Pierrette Daviau, teologa cattolica canadese, uscita due anni fa per Labor et Fides. La prefazione al’edizione italiana (Piemme) è della pastora e teologa valdese Letizia Tomassone, con la quale commentiamo il libro, che si inserisce in una lunga tradizione di “Bibbie delle donne”; a partire dall’opera della suffragista americana Elizabeth Cady Stanton, che nel 1895, con altre 26 donne, diede per la prima volta un punto di vista femminile al commento della Bibbia.

In questo lavoro si ritrovano 21 teologhe protestanti e cattoliche francofone: non un’analisi libro per libro, spiega Tomassone, come altre “Bibbie delle donne” quale quella in tre volumi pubblicata da Claudiana. Questo lavoro propone una riflessione sulla condizione delle donne nelle chiese nella storia, a partire da alcuni temi chiave, i volti femminili di Dio, corpo e pudore, il coraggio, sterilità e maternità, la subordinazione, l’archetipo della “femme fatale”…

C’è poi un’altra particolarità: il contesto in cui nasce l’opera, spiega Tomassone, «la prima di questa portata in ambito francofono; le autrici vanno dall’Europa all’Africa al Canada, ai territori oltremare francesi, e questo indica una consapevolezza nelle curatrici sulla necessità di rileggere i modi in cui i testi biblici hanno modellato delle immagini femminili, non solo nella cultura occidentale, ma imponendo dei modelli nelle culture coloniali», stravolgendo completamente quelli che erano loro propri e cancellando l’identità delle donne indigene. In questo senso si tratta di «un lavoro di riflessione sulla propria collocazione» e si lega strettamente al tema del post-colonialismo, osserva Tomassone, e a questioni aperte: le sperequazioni economiche e di potere, l’accesso all’istruzione e alle risorse…

Si dice Bibbia ma si finisce per parlare di attualità, di temi che con il movimento #metoo e le iniziative nel mondo cattolico a seguito della candidatura di Anne Soupa all’Arcidiocesi di Lione hanno riportato l’attenzione sulle dinamiche di potere, autorità e leadership, rispetto alla condizione delle donne. Emblematica in questo senso è la figura di Marta, oggetto di un saggio «sul tema dell’autorità femminile, del silenzio, sottolineando come la questione del servizio (diakonia) venga usata per dare autorità ai maschi dentro la chiesa e indurre le donne in una posizione subordinata. Questo mostra come gli stessi valori cambiano a seconda della collocazione di genere del soggetto». 

Eppure nella Bibbia è spesso una donna che, rompendo gli schemi, dà una svolta inaspettata alla storia, «… non ha potere [conclude l’introduzione] ma può cambiare tutto, agendo nel momento esatto in cui Dio interseca la storia con la sua volontà di vita e di libertà: quel momento si chiama kairos ed è il tempo propizio della scelta femminile, della scelta di libertà». E qui sta il punto, ci spiega la teologa: «Con uno sguardo di fede possiamo dire che è Dio che rompe gli schemi, perché la sua presenza rompe le aspettative dei contesti, e molto spesso si serve dei soggetti più marginali, le donne, le straniere (Raab, Agar…), gli schiavi, i piccoli (lo stesso Davide è il più piccolo della sua famiglia). C’è continuamente questo ribaltamento in cui uno sguardo di fede riconosce che la storia non è determinata, ma Dio sconvolge le cose, e per farlo si serve dei soggetti divergenti, anche nella loro caratteristica di essere ai margini, di avere l’audacia di fare questi passi».

La Bibbia è ricca di testi dirompenti e rivoluzionari, ma anche di passaggi che preferiremmo depennare come “non più validi”. Proprio di fronte a questi, secondo le curatrici del libro e secondo Tomassone, sta la sfida delle teologhe ed esegete di oggi: «quella di non gettare via tutto il testo biblico, non cancellare quelle pagine, ma ridiscuterle, rinarrarle, a partire dall’affermazione di fede nel Dio di giustizia, che è anche una giustizia di genere, cercando di capire quale immagine di donne trasmettono quelle storie, a quale subordinazione o a quale liberazione, all’epoca, poteva essere utile quel racconto e oggi in che modo ci aiuta nelle stesse direzioni».

Lo stesso vale per i Padri della chiesa e «per alcune interpretazioni dei Riformatori, Lutero e Calvino, che anche se vivevano tempi abbastanza rivoluzionari, con donne che collaboravano, parlavano, profetizzavano, agivano nelle chiese, hanno di fatto accettato lo status quo della divisione dei ruoli e della collocazione di donne uomini e rispetto all’autorità nella chiesa. Riconoscere questo ci aiuta a vedere quanto tutto è relativo al tempo in cui si vive e a non assolutizzare le situazioni, ma a cercare di viverle come possibilità di trasformazione».