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L’arte della speranza quaggiù

Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi!
Isaia 64, 1

Liberaci dal maligno
Marco 6, 13

Il profeta fa uno sforzo di immaginazione: cosa accadrebbe se Dio – e Dio soltanto lo potrebbe fare – colmasse la distanza che ci separa? Ogni ambiguità verrebbe dissolta, le cose conosciute diventerebbero trasparenti, quelle sperate presenti, quelle oscure illuminate. Ci sorprenderebbe, inaudita e inaspettata, la grazia, un amore senza confini e un’accoglienza senza esclusioni. Con i cieli sarebbe squarciato quel velo che ci permette, al meglio, di vedere «come in uno specchio, in modo oscuro» e ci impedisce di vedere «faccia a faccia» (I Cor. 13, 12).

Se per l’essere umano colmare da sé la distanza che lo separa da Dio è addirittura impensabile, che lo faccia Dio rimane un auspicio la cui realizzazione non sembra, nelle parole del profeta, attesa troppo presto. Come direbbe il capo del ben noto villaggio che resiste ancora e sempre all’invasore, che avvenga «è certo, ma di sicuro non domani». La dimensione che ci è data di vivere in questo mondo è un’altra, in cui la fede non è senza il contrappeso del dubbio, che le è necessario come l’ancoraggio a terra lo è per far volare l’aquilone. Meglio: quell’orizzonte che ci si dischiuderebbe se Dio squarciasse i cieli, anche se non atteso esattamente per domani, è il vento che può far volare il nostro aquilone, che teniamo ben saldo. Quella possibilità, che in quanto tale non è realizzata ed è al tempo stesso più della realtà, anima la nostra speranza. Proprio come l’idea, espressa nell’ultima richiesta del Padre Nostro, che il creato possa essere liberato dai poteri di morte, ci ispira e anima nel contrastarli finché sono presenti, dato che sono presenti. Questa è l’arte della speranza quaggiù.