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L’eredità di John Lewis e di C. T. Vivian

Venerdì 17 luglio due icone del movimento nonviolento per i diritti civili degli afroamericani hanno concluso la loro esistenza terrena a poche ore di distanza l’una dall’altra: John Robert Lewis, morto a 80 anni dopo una battaglia contro il cancro al pancreas, e il pastore Cordy Tindell “C. T.” Vivian, morto all’età di 95 anni per cause naturali. Entrambi hanno lavorato a fianco del pastore battista afroamericano Martin Luther King Jr. nella storica lotta contro la discriminazione razziale negli Usa degli anni ‘60. 

Il 28 agosto del 1963 il ventitreenne Lewis è sui gradini del Lincoln Memorial a Washington, dinanzi a migliaia di persone: è lui ad introdurre il pastore King che pronuncerà il famoso discorso «I have a dream». E nella prima marcia da Selma a Montgomery, che divenne famosa come «Bloody Sunday», Lewis è in prima fila tra i manifestanti inermi attaccati brutalmente sul ponte Edmund Pettus, su ordine del Governatore dell’Alabama, George Wallace. La foto dell’Associated Press che ritrae il giovane Lewis, gettato a terra dalla polizia che lo picchia violentemente fratturandogli il cranio, fa il giro del mondo.

Lewis ha continuato per sessanta anni il suo impegno per i diritti civili degli afroamericani. Dal 1986 è stato ininterrottamente eletto al Congresso come deputato democratico in rappresentanza del Quinto Distretto della Georgia, e ha lavorato a fianco dei presidenti degli Stati Uniti più attenti alle questioni dei neri, da ultimo Obama che nel 2011 gli ha conferito la massima onorificenza della nazione: la medaglia presidenziale della libertà. 

Anche C. T. Vivian ha lavorato a fianco di M. L. King, che lo definì «il più grande predicatore che ho mai ascoltato». Insieme ad altri pastori, fondò la Nashville Christian Leadership Conference, affiliata della Southern Christian Leadership Conference, che contribuì a organizzare sit-in e marce per i diritti civili. Come Lewis, Vivian faceva parte dei Freedom Riders – attivisti per i diritti civili che percorrevano gli Stati del sud assicurandosi che i terminal degli autobus e altre strutture pubbliche non fossero segregati.

Anche a lui non fu risparmiata la violenza. Una volta, mentre era alla guida di un gruppo di persone che stavano andando a registrarsi per votare a Selma furono bloccati dallo sceriffo locale, Jim Clark. «Ci registreremo per votare perché come cittadini degli Stati Uniti abbiamo il diritto di farlo», disse Vivian allo sceriffo, che cominciò a picchiarlo a sangue. Anche quelle immagini fecero il giro del mondo, contribuendo a sensibilizzare le coscienze contro l’odio razziale. Da allora è proseguito il suo impegno di attivista per i diritti civili.

Anche a lui il presidente Obama conferì la Medaglia presidenziale della libertà nel 2013.

Patrisse Cullors, fondatore del movimento Black Lives Matter, ha affermato: «La lotta per salvarti la vita è una lotta spirituale».

Per Vivian e Lewis – che studiarono teologia presso l’American Baptist College di Nashville, nel Tennessee – essere attivisti per i diritti civili era strettamente legato alla loro fede. Durante un’intervista rilasciata nel 2004, Lewis spiegava: «Quando uscivamo per fare un sit-in o per marciare, sentivo, e credo davvero, che ci fosse una forza davanti a noi e una forza dietro di noi, perché a volte non sapevi cosa fare, cosa dire, non sapevi come avresti superato il giorno o la notte. Ma in qualche modo abbiamo creduto – avevamo fede – che tutto sarebbe andato bene».

La fede ha plasmato il lavoro per i diritti civili e la giustizia sociale di molti leader religiosi neri, che interpretano gli insegnamenti religiosi attraverso il prisma dell’ingiustizia nel qui e ora.

Parlando dell’influenza del pastore M. L. King, Lewis una volta spiegò: «Non era preoccupato per le strade del cielo, le porte preziose e le strade lastricate di latte e miele. Era più preoccupato per le strade di Montgomery e per il modo in cui i neri e i poveri venivano curati a Montgomery».

Quella stessa passione per la giustizia, l’uguaglianza, la pace da realizzare già ora, in questo mondo, con una prassi nonviolenta ha ispirato tutta la vita di Lewis e Vivian. Essere cristiani ha significato per loro preoccuparsi di ciò che accadeva nel mondo, lottare contro la violenza e l’odio, difendere e garantire i diritti civili a tutti gli esseri umani, al di là del colore della pelle. Credere in Gesù ha significato impegnarsi per la giustizia e l’uguaglianza, pagandone le conseguenze anche con la propria vita. È a questa vocazione che Lewis e Vivian sono rimasti fedeli fino alla fine.